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venuto al Buon Consiglio. Quando attaccammo la salita, io scesi a terra per non stancare il cavallo, e Silvia tenne lei le briglie.
Andando mi chiedevano di chi era una casa, una cascina, un campanile, e io conoscevo la qualità delle uve nei filari ma i padroni non li sapevo. Ci voltammo a guardare il campanile di Calosso, mostrai da che parte restava adesso la Mora.
Poi Irene mi chiese se proprio non conoscevo i miei. Io le risposi che vivevo tranquillo lo stesso; e fu allora che Silvia mi guardò dalla testa ai piedi e, tutta seria, disse a Irene ch’ero un bel giovanotto, non sembravo neanche di qui. Irene, per non offendermi, disse che dovevo avere delle belle mani, e io subito le nascosi. Allora anche lei rise come Silvia.
Poi si rimisero a parlare dei loro dispetti e di vestiti, e arrivammo al Buon Consiglio, sotto gli alberi.
C’era una confusione di banchi di torrone, di bandierine, di carri e di bersagli e si sentivano di tanto in tanto gli schianti delle fucilate. Portai il cavallo all’ombra dei platani, dove c’erano le stanghe per legare, staccai il biroccio e allargai il fieno. Irene e Silvia chiedevano «Dov’è la corsa, dov’è?», ma c’era tempo, e allora si misero a cercare i loro amici. Io dovevo tener d’occhio il cavallo e intanto vedere la festa.
Era presto, Nuto non suonava ancora, ma si sentivano nell’aria gli strumenti strombettare, squittire, sbuffare, scherzare, ciascuno per conto suo. Trovai Nuto che beveva la gasosa coi ragazzi dei Seraudi. Stavano sullo spiazzo dietro la chiesa di dove si vedeva tutta la collina in faccia e le vigne bianche, le rive, fin lontano, le cascine dei boschi. La gente ch’era al Buon Consiglio veniva di lassú, dalle aie piú sperdute, e da piú lontano ancora, dalle chiesette, dai paesi oltre Mango, dove non c’erano che strade da capre e non passava mai nessuno. Erano venuti in festa sui carri, sulle vetture, in bicicletta e a piedi. Era pieno di ragazze, di donne vecchie che entravano in chiesa, di uomini che guardavano in su. I signori, le ragazze ben vestite, i bambini con la cravatta, aspettavano anche loro la funzione sulla porta della chiesa. Dissi a Nuto ch’ero venuto con Irene e Silvia e le vedemmo che ridevano in mezzo ai loro amici. Quell’abito a fiori era proprio il piú bello.
Con Nuto andammo a vedere i cavalli nelle stalle dell’osteria. Il Bizzarro della Stazione ci fermò sulla porta e ci disse di fare la guardia. Lui e gli altri sturarono una bottiglia che scappò mezza
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