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di là intorno, ai soci delle bocce, del pallone, dell’osteria, alle ragazze che facevamo ballare. Di tutti sapeva dov’erano, che cosa avevano fatto; adesso, quando eravamo alla casa del Salto e ne passava qualcuno sullo stradone, lui gli diceva con l’occhio del gatto: — E questo qui lo conosci ancora? — Poi si godeva la faccia e la meraviglia dell’altro e ci versava da bere a tutti e due. Discorrevamo. Qualcuno mi dava del voi. — Sono Anguilla, — interrompevo, — che storie. Tuo fratello, tuo padre, tua nonna, che fine hanno fatto? È poi morta la cagna?
Non erano cambiati gran che; io, ero cambiato. Si ricordavano di cose che avevo fatto e avevo detto, di scherzi, di botte, di storie che avevo dimenticato. — E Bianchetta? — mi disse uno, — te la ricordi Bianchetta? — Sí che la ricordavo. — Si è sposata ai Robini, — mi dissero, — sta bene.
Quasi ogni sera Nuto veniva a prendermi all’Angelo, mi cavava dal crocchio di dottore, segretario, maresciallo e geometri, e mi faceva parlare. Andavamo come due frati sotto la lea del paese, si sentivano i grilli, l’arietta di Belbo — ai nostri tempi in quell’ora in paese non c’eravamo mai venuti, facevamo un’altra vita.
Sotto la luna e le colline nere Nuto una sera mi domandò com’era stato imbarcarmi per andare in America, se ripresentandosi l’occasione e i vent’anni l’avrei fatto ancora. Gli dissi che non tanto era stata l’America quanto la rabbia di non essere nessuno, la smania, piú che di andare, di tornare un bel giorno dopo che tutti mi avessero dato per morto di fame. In paese non sarei stato mai altro che un servitore, che un vecchio Cirino (anche lui era morto da un pezzo, s’era rotta la schiena cadendo da un fienile e aveva ancora stentato piú di un anno) e allora tanto valeva provare, levarmi la voglia, dopo che avevo passata la Bormida, di passare anche il mare.
— Ma non è facile imbarcarsi, — disse Nuto. — Hai avuto del coraggio.
Non era stato coraggio, dissi, ero scappato. Tanto valeva raccontargliela.
— Ti ricordi i discorsi che facevamo con tuo padre nella bottega? Lui diceva già allora che gli ignoranti saranno sempre ignoranti, perché la forza è nelle mani di chi ha interesse che la gente non capisca, nelle mani del governo, dei neri, dei capitalisti... Qui alla Mora era niente, ma quand’ho fatto il soldato e girato i carrugi e i cantieri a Genova ho capito cosa sono i padroni, i capitalisti, i
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