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rata, incagnita, e si fermava nel cortile, nella vigna, era un piacere vederla, sentirla parlare. Certi giorni si faceva attaccare il biroccio e partiva sola, andava a Canelli, lo guidava lei come un uomo. Una volta chiese a Nuto se sarebbe andato a suonare al Buon Consiglio dove facevano la corsa dei cavalli — e voleva a tutti i costi comprare una sella a Canelli, imparare a montare il cavallo e correre con gli altri. Toccò a massaro Lanzone spiegarle che un cavallo che tira il biroccio ha dei vizi e non può correre una corsa. Si seppe poi che al Buon Consiglio Silvia voleva andare per trovarci quel Matteo e fargli vedere che sapeva stare a cavallo anche lei.
Questa ragazza, dicevamo noialtri, va a finire che si veste da uomo, corre le fiere e fa i giochi sulle corde. Giusto quell’anno era comparso a Canelli un baraccone dove c’era una giostra fatta di motociclette che giravano con un fracasso peggio della battitrice, e chi dava i biglietti era una donna magra e rossa, sui quaranta, che aveva le dita piene di anelli e fumava la sigaretta. Sta’ a vedere, dicevamo, che Matteo di Crevalcuore, quand’è stufo, mette Silvia a comandare una giostra cosí. Si diceva anche a Canelli che bastava, pagando il biglietto, piantare la mano in un certo modo sul banco e la rossa ti diceva subito l’ora che potevi tornare, entrare in quel carrozzone delle tendine e far l’amore con lei sulla paglia. Ma Silvia non era ancora a questo punto. Per quanto fosse come matta, era matta di capriccio per Matteo, ma cosí bella e cosí sana che molti l’avrebbero sposata anche adesso.
Succedevano cose da pazzi. Adesso lei e Matteo si trovavano in un casotto di vigna ai Seraudi, un casotto mezzo sfondato, sull’orlo di una riva dove la motocicletta non poteva arrivare, ma loro ci andavano a piedi e s’erano portata la coperta e i cuscini. Né alla Mora né a Crevalcuore quel Matteo si faceva vedere con Silvia non era mica per salvare il nome a lei ma per non essere preso di mezzo e doversi impegnare. Sapeva di non voler mantenere, e cosí si salvava la faccia.
Io cercavo di cogliere sulla faccia di Silvia i segni di quel che faceva con Matteo. Quel settembre quando ci mettemmo a vendemmiare, vennero come negli anni passati sia lei che Irene nella vigna bianca, e io la guardavo accovacciata sotto le viti, le guardavo le mani che cercavano i grappoli, le guardavo la piega dei fianchi, la vita, i capelli negli occhi, e quando scendeva il sentiero guardavo il passo, il sobbalzo, lo scatto della testa — la conoscevo tutta
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