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drone. — Ciò nulla di meno, — continuò il sor Matteo, — quando siano ben allevate, le donne conoscono chi fa per loro. E tu, — gli disse, — non ti vogliono. Capito?

Arturo allora aveva borbottato questo e quello, che diamine, era stato gentilmente invitato a passare di lí, si capisce che un uomo...

— Non sei un uomo, — aveva detto il sor Matteo, — sei uno sporcaccione.

Cosí sembrò finita la storia di Arturo, e con Arturo anche del toscano. Ma la matrigna non ebbe il tempo di starsene offesa perché ne vennero degli altri, tanti altri piú pericolosi. I due ufficiali, per esempio, quelli del giorno ch’ero rimasto io solo alla Mora. Ci fu un mese — c’eran le lucciole, era giugno — che tutte le sere si vedevano spuntare da Canelli. Dovevano averci qualche altra donna che stava sullo stradone, perché mai che arrivassero di là — loro tagliavano da Belbo, sulla pontina, e traversavano i beni, le melighe, i prati. Io avevo allora sedici anni, e queste cose cominciavo a capirle. Con loro Cirino l’aveva su perché gli pestavano la medica e perché si ricordava che carogne erano stati in guerra gli ufficiali come quelli. Di Nuto non si parla nemmeno. Una sera gliela fecero brutta. Appostarono il passaggio nell’erba e gli tesero un fildiferro nascosto. Quelli arrivarono saltando un fosso, godendosi già le signorine, e andarono giú a rompicollo a spaccarsi la faccia. Il bello sarebbe stato farli cascare nel letame, ma da quella sera non passarono piú nei prati.

Con la buona stagione, specialmente Silvia piú nessuno la teneva. Adesso s’erano messe, nelle sere d’estate, a uscire dal cancello e accompagnare i loro giovanotti su e giú per lo stradone, e quando ripassavano sotto i tigli noi si tendeva l’orecchio per sentire qualche parola. Partivano a quattro, ritornavano a coppie. Silvia s’incamminava tenendo a braccetto Irene e rideva, scherzava, ribatteva coi due. Quando ripassavano, nell’odore dei tigli. Silvia e il suo uomo se ne stavano insieme, camminavano bisbigliando e ridendo; l’altra coppia veniva piú adagio, staccata, e a volte chiamavano, parlavano forte coi primi. Ricordo bene quelle sere, e noialtri seduti sul trave, nell’odore fortissimo dei tigli.


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