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la colombaia, per rompere le terrecotte, e li sentivo cadere e rimbalzare sul cemento del terrazzo. Per fare un dispetto a qualcuno presi la roncola e scappai nei beni, «cosí, — pensavo, — non faccio la guardia. Bruciasse la casa, venissero i ladri». Nei beni non sentivo piú il chiacchiericcio dei passanti e questo mi dava ancor piú rabbia e paura, avevo voglia di piangere. Mi misi in caccia di cavallette e gli strappavo le gambe, rompendole alla giuntura. «Peggio per voi, — gli dicevo, — dovevate andare a Canelli». E gridavo bestemmie, tutte quelle che sapevo.

Se avessi osato, avrei fatto in giardino un massacro di fiori. E pensavo alla faccia di Irene e di Silvia e mi dicevo che anche loro pisciavano.

Un carrozzino si fermò al cancello. — C’è nessuno? — sentii chiamare. Erano due ufficiali di Nizza che avevo già visto una volta sul terrazzo con loro. Stetti nascosto dietro il portico, zitto. — C’è nessuno? signorine! — gridavano. — Signorina Irene! — Il cane si mise a abbaiare, io zitto.

Dopo un po’ se ne andarono, e adesso avevo una soddisfazione. «Anche loro, — pensavo, — bastardi». Entrai in casa per mangiarmi un pezzo di pane. La cantina era chiusa. Ma sul ripiano dell’armadio in mezzo alle cipolle c’era una bottiglia buona e la presi e andai a bermela tutta, dietro le dalie. Adesso mi girava la testa e ronzava come fosse piena di mosche. Tornai nella stanza, ruppi per terra la bottiglia davanti all’armadio, come se fosse stato il gatto, e ci versai un po’ d’acquetta per fare il vino. Poi me ne andai sul fienile.

Stetti ubriaco fino a sera, e da ubriaco abbeverai i manzi, gli cambiai strame e buttai il fieno. La gente cominciava a ripassare sulla strada, da dietro la griglia chiesi che cosa c’era attaccato sul palo della cuccagna, se la corsa era stata proprio nei sacchi, chi aveva vinto. Si fermavano a parlare volentieri, nessuno aveva mai parlato tanto con me. Adesso mi sembrava di essere un altro, mi dispiaceva addirittura di non aver parlato a quei due ufficiali, di non avergli chiesto che cosa volevano dalle nostre ragazze, e se credevano davvero che fossero come quelle di Canelli.

Quando la Mora tornò a popolarsi, io ne sapevo abbastanza sulla festa che potevo parlarne con Cirino, con l’Emilia, con tutti, come ci fossi stato. A cena ci fu ancora da bere. La carrozza grande tornò a notte tardissimo, ch’io dormivo da un pezzo e sognavo di


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