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XIX.

Il primo giorno di mercato Cinto venne all’Angelo a prendere il coltello che gli avevo promesso. Mi dissero che un ragazzotto mi aspettava fuori e trovai lui vestito da festa, con gli zoccoletti, dietro a quattro che giocavano a carte. Suo padre, mi disse, era in piazza che guardava una zappa.

— Vuoi i soldi o il coltello? — gli chiesi. Voleva il coltello. Allora uscimmo nel sole, passammo in mezzo ai banchi delle stoffe e delle angurie, in mezzo alla gente, ai teli di sacco distesi a terra, pieni di ferri, di rampini, di vomeri, di chiodi, e cercavamo.

— Se tuo padre lo vede, — gli dissi, — è capace che te lo prende. Dove lo nascondi?

Cinto rideva, con quegli occhi senza ciglia. — Per mio padre, — disse. — Se me lo prende lo ammazzo.

Al banco dei coltelli gli dissi di scegliere lui. Non mi credeva. — Avanti, sbrigati — . Scelse un coltellino che fece gola anche a me: bello, grosso, color castagna d’india, con due lame a scatto e il cavatappi.

Poi tornammo all’albergo e gli chiesi se aveva trovate delle altre carte nei fossati. Lui teneva in mano il coltello, lo apriva e lo chiudeva, provandone le lame contro il palmo. Mi rispose di no. Gli dissi che io una volta mi ero comprato un coltello cosí sul mercato di Canelli, e mi era servito in campagna per segare i salici.

Gli feci dare un bicchiere di menta e mentre beveva gli chiesi se era già stato sul treno o in corriera. Piú che sul treno, mi rispose, gli sarebbe piaciuto andare in bicicletta, ma Gosto del Morone gli aveva detto che col suo piede era impossibile, ci sarebbe voluta una moto. Io cominciai a raccontargli di quando in California circo-


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