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anche i nomi di tanti paesi e che bastava leggere il giornale per saperne di tutti i colori. Cosí, certi giorni ch’ero nei beni, nelle vigne sopra la strada zappando al sole, e sentivo tra i peschi arrivare il treno e riempire la vallata filando o venendo da Canelli, in quei momenti mi fermavo sulla zappa, guardavo il fumo, i vagoni, guardavo Gaminella, la palazzina del Nido, verso Canelli e Calamandrana, verso Calosso, e mi pareva di aver bevuto del vino, di essere un altro, di esser come Nuto, di arrivare a valere quanto lui, e che un bel giorno avrei preso anch’io quel treno per andare chi sa dove.

Anche a Canelli c’ero già andato diverse volte in bicicletta, e mi fermavo sul ponte di Belbo — ma la volta che ci trovai Nuto fu come se fosse la prima. Lui era venuto a cercare un ferro per suo padre e mi vide davanti alla censa che guardavo le cartoline. — Allora te le dan già queste sigarette? — mi disse sulla spalla, all’improvviso. Io che studiavo quante biglie colorate ci stanno in due soldi, mi vergognai, e da quel giorno lasciai perdere le biglie. Poi girammo insieme e guardammo la gente che entrava e usciva nel caffè. I caffè di Canelli non sono osterie, non si beve vino ma bibite. Ascoltavamo i giovanotti che parlavano dei fatti loro, e dicevano calmi calmi storie grosse come case. Nella vetrina c’era un manifesto stampato, con un bastimento e degli uccelli bianchi, e senza neanche chiedere a Nuto capii ch’era per quelli che volevano viaggiare, vedere il mondo. Poi ne parlammo e lui mi disse che uno di quei giovanotti — uno biondo, vestito con la cravatta e i calzoni stirati — era impiegato nella banca dove andavano a mettersi d’accordo quelli che volevano imbarcarsi. Un’altra cosa che sentii quel giorno fu che a Canelli c’era una carrozza che usciva ogni tanto con sopra tre donne, anche quattro, e queste donne facevano una passeggiata per le strade, andavano fino alla Stazione, a Sant’Anna, su e giú per lo stradone, e prendevano la bibita in diversi posti — tutto questo per farsi vedere, per attirare i clienti, era il loro padrone che l’aveva studiata, e poi chi aveva i soldi e l’età entrava in quella casa di Villanova e dormiva con una di loro.

— Tutte le donne di Canelli fanno questo? — dissi a Nuto, quando l’ebbi capita.

— Sarebbe meglio ma non è, — disse lui. — Non tutte girano in carrozza.

Con Nuto venne un momento, quando avevo già sedici diciassette anni e lui stava per andare soldato, che o lui o io arraffavamo


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