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pre un guadagno, un fatto da raccontare. E poi, a me Nuto piaceva perché andavamo d’accordo e mi trattava come un amico. Aveva già allora quegli occhi forati, da gatto, e quando aveva detto una cosa finiva: «Se sbaglio, correggimi». Fu cosí che cominciai a capire che non si parla solamente per parlare, per dire «ho fatto questo» «ho fatto quello» «ho mangiato e bevuto», ma si parla per farsi un’idea, per capire come va questo mondo. Non ci avevo mai pensato prima. E Nuto la sapeva lunga, era come uno grande; certe sere d’estate veniva a vegliare sotto il pino — sul terrazzo c’erano Irene e Silvia, c’era la madre — e lui scherzava con tutti, faceva il verso ai piú ridicoli, raccontava delle storie di cascine, di furbi e di goffi, di suonatori e di contratti col prete, che sembrava suo padre. Il sor Matteo gli diceva: — Voglio vedere quando andrai soldato tu, che cosa combini. Al reggimento ti levano i grilli — e Nuto rispondeva: — È difficile levarceli tutti. Non sentite quanti ce n’è in queste vigne?
A me ascoltare quei discorsi, essere amico di Nuto, conoscerlo cosí, mi faceva l’effetto di bere del vino e sentir suonare la musica. Mi vergognavo di essere soltanto un ragazzo, un servitore, di non sapere chiacchierare come lui, e mi pareva che da solo non sarei mai riuscito a far niente. Ma lui mi dava confidenza, mi diceva che voleva insegnarmi a suonare il bombardino, portarmi in festa a Canelli, farmi sparare dieci colpi nel bersaglio. Mi diceva che l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa, e che certe mattine svegliandosi aveva voglia anche lui di mettersi al banco e cominciare a fabbricare un bel tavolino. — Cos’hai paura, — mi diceva, — una cosa s’impara facendola. Basta averne voglia... Se sbaglio correggimi.
Gli anni che vennero, imparai molte altre cose da Nuto — o forse era soltanto che crescevo e cominciavo a capire da me. Ma fu lui che mi spiegò perché Nicoletto era cosí carogna. — È un ignorante, — mi disse, — crede perché sta in Alba e porta le scarpe tutti i giorni e nessuno lo fa lavorare, di valere di piú di un contadino come noi. E i suoi di casa lo mandano a scuola. Sei tu che lo mantieni lavorando le terre dei suoi. Lui neanche lo capisce — . Fu Nuto che mi disse che col treno si va dappertutto, e quando la ferrata finisce cominciano i porti, e i bastimenti vanno a orario, tutto il mondo è un intrico di strade e di porti, un orario di gente che viaggia, che fa e che disfa, e dappertutto c’è chi è capace e chi è tapino. Mi disse
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