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XVII.

Nuto dice che si ricorda la prima volta che mi vide alla Mora — ammazzavo il maiale e le donne eran tutte scappate, tranne Santina che camminava appena allora e arrivò sul piú bello che il maiale buttava sangue. — Portate via quella bambina, — aveva gridato il massaro, e l’avevamo inseguita e acchiappata io e Nuto, pigliandoci non pochi calci. Ma se Santina camminava e correva, voleva dire ch’io ero già da piú di un anno alla Mora e c’eravamo visti prima. A me pare che la prima volta fosse quando non ci stavo ancora, l’autunno prima della grossa grandine, alla sfogliatura. Eravamo nel cortile al buio, una fila di gente, servitori, ragazzi, contadini di là intorno, donne — e chi cantava, chi rideva, seduti sul lungo mucchio della meliga, e sfogliavamo, in quell’odore secco e polveroso dei cartocci, e tiravamo le pannocchie gialle contro il muro del portico. E quella notte c’era Nuto, e quando Cirino e la Serafina giravano coi bicchieri lui beveva come un uomo. Doveva avere quindici anni, per me era già un uomo. Tutti parlavano e raccontavano storie, i giovanotti facevano ridere le ragazze. Nuto s’era portata la chitarra e invece di sfogliare suonava. Suonava bene già allora. Alla fine tutti avevano ballato e dicevano «Bravo Nuto».

Ma questa notte veniva tutti gli anni, e forse ha ragione Nuto che c’eravamo veduti in un’altra occasione. Nella casa del Salto lui lavorava già con suo padre; lo vedevo al banco ma senza grembiale. Stava poco a quel banco. Era sempre disposto a tagliar la corda, e si sapeva che andando con lui non si facevano soltanto giochi da ragazzi, non si perdeva l’occasione — capitava qualcosa ogni volta, si parlava, s’incontrava qualcuno, si trovava un nido speciale, una bestia mai vista, s’arrivava in un posto nuovo — , insomma era sem-


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