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del casotto non bastava neanche a noi, e a noi non ci toccava spartire.

Il Valino non parlava con nessuno. Zappava, potava, legava, sputava, riparava; prendeva il manzo a calci in faccia, masticava la polenta, alzava gli occhi nel cortile, comandava con gli occhi. Le donne correvano, Cinto scappava. La sera poi, quand’era l’ora di andare a dormire — Cinto cenava rosicchiando per le rive — , il Valino pigliava lui, pigliava la donna, pigliava chi gli capitava, sull’uscio, sulla scala del fienile, e gli menava staffilate con la cinghia.

Mi bastò quel poco che avevo sentito da Nuto, e la faccia sempre attenta, sempre tesa, di Cinto quando lo trovavo sulla strada e gli parlavo, per capire cos’era adesso Gaminella. C’era la storia del cane che lo tenevano legato e non gli davano da mangiare, e il cane di notte sentiva i ricci, sentiva i pipistrelli e le faine e saltava come un matto per prenderli, e abbaiava, abbaiava alla luna che gli pareva la polenta. Allora il Valino scendeva dal letto, lo ammazzava di cinghiate e di calci anche lui.

Un giorno decisi Nuto a venire in Gaminella per guardare quella tina. Non voleva saperne; diceva: — So già che se gli parlo gli do del tapino, gli dico che fa la vita di una bestia. E posso dirgli questa cosa? Servisse... Bisogna prima che il governo bruci il soldo e chi lo difende...

Per strada gli chiesi se era proprio convinto che fosse la miseria a imbestiare la gente. — — Non hai mai letto sul giornale quei milionari che si drogano e si sparano? Ci sono dei vizi che costano soldi...

Lui mi rispose che ecco, sono i soldi, sempre i soldi: averli o non averli, fin che esistono loro non si salva nessuno.

Quando fummo al casotto uscí fuori la cognata, Rosina, quella che aveva anche i baffi, e disse che il Valino era al pozzo. Stavolta non si fece aspettare, venne lui, disse alla donna: — Dàgli a sto cane, — e non ci tenne in cortile neanche un momento. — Allora, — disse a Nuto, — vuoi vedere quella tina?

Io sapevo dov’era la tina, sapevo la volta bassa, i mattoni rotti e le ragnatele. Dissi: — Aspetto in casa un momento, — e misi finalmente il piede su quello scalino.

Non feci in tempo a guardarmi intorno, che sentii piagnucolare, gemere adagio, esclamare, come fosse una gola troppo stanca per


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