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gione, si trattò di uscire nei beni prima di giorno e bisognava attaccare la bestia nel cortile col buio, sotto le stelle. Adesso avevo una giacca che mi toccava le ginocchia e stavo caldo. Poi col sole arrivavano la Serafina, o l’Emilia, a portare il vinello, o facevo io una scappata a casa e mangiavamo colazione, il massaro diceva i lavori della giornata, di sopra cominciavano a muoversi, sullo stradone passava gente, alle otto si sentiva il fischio del primo treno. La giornata la passavo a far erba, a voltare i fieni, a tirar l’acqua, a preparare il verderame, a bagnare l’orto. Quando correva la giornata dei braccianti, il massaro mi mandava a tenerli d’occhio, che zappassero, che dessero bene lo zolfo o il verderame sotto la foglia, che non si fermassero a discorrere in fondo alla vigna. E i braccianti dicevano a me ch’ero uno come loro, che li lasciassi fumare in pace la cicca. — Sta’ attento come si fa, — mi diceva Cirino sputandosi sulle mani e levando la zappa, — un altr’anno attacchi anche tu a lavorare.

Perché adesso non lavoravo ancora veramente; le donne mi chiamavano nel cortile, mi mandavano a far questo e quello, mi tenevano in cucina mentre impastavano e accendevano il fuoco, e io stavo a sentire, vedevo chi andava e veniva. Cirino, ch’era un servitore come me, teneva conto ch’ero soltanto un ragazzo e mi dava delle commissioni che mi tenevano sotto gli occhi delle donne. Lui con le donne non ci stava molto; era quasi vecchio, senza famiglia, e la domenica accendendo il toscano mi raccontava che nemmeno in paese lui ci andava volentieri, preferiva ascoltare dietro la griglia quel che dicevano i passanti. Certe volte scappavo sullo stradone fino alla casa del Salto, nella bottega del padre di Nuto. Qui c’eran già tutti quei trucioli e quei gerani che ci sono ancora adesso. Qui chiunque passasse, andando a Canelli o tornando, si fermava a dir la sua, e il falegname maneggiava le pialle, maneggiava lo scalpello o la sega, e parlava con tutti, di Canelli, dei tempi di una volta, di politica, della musica e dei matti, del mondo. C’era dei giorni che potevo fermarmi perché avevo qualche commissione da fare, e mi bevevo quei discorsi mentre giocavo con gli altri ragazzi, come se i grandi li facessero per me. Il padre di Nuto leggeva il giornale.

Anche in casa di Nuto dicevano bene del sor Matteo; raccontavano di quando era stato soldato in Africa e che tutti l’avevano già dato per morto, la parrocchia, la fidanzata, sua madre, e il cane


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