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— L’altro giorno sono passato sotto la Mora, — dissi. — Non c’è piú il pino del cancello...

L’ha fatto tagliare il ragioniere, Nicoletto. Quell’ignorante... L’ha fatto tagliare perché i pezzenti si fermavano all’ombra e chiedevano. Capisci? non gli basta che si è mangiata mezza la casa. Non vuole nemmeno che un povero si fermi all’ombra e gli chieda conto...

— Ma com’è stato andare cosí al diavolo? Gente che aveva la carrozza. Col vecchio non sarebbe successo...

Nuto non disse nulla e strappava ciuffi d’erba secca.

— Non c’era soltanto Nicoletto, — dissi. — E le ragazze? Quando ci penso, mi gira il sangue. Va bene che gli piaceva divertirsi a tutt’e due e che Silvia era una scema che cascava con tutti, ma fin che il vecchio è stato vivo, l’hanno sempre aggiustata... Almeno la matrigna non doveva morire... E la piccola, Santina, che fine ha fatto?

Nuto pensava ancora al suo prete e alle spie, perché storse la bocca un’altra volta e trangugiò saliva.

— Stava a Canelli, — disse. — Non potevano soffrirsi con Nicoletto. Teneva allegre le brigate nere. Tutti lo sanno. Poi un giorno è sparita.

— Possibile? — dissi. — Ma cos’ha fatto? Santa Santina? Pensare che a sei anni era cosí bella...

— Tu non l’hai vista a venti, — disse Nuto, — le altre due non erano niente. L’hanno viziata, il sor Matteo non vedeva piú che lei... Ti ricordi quando Irene e Silvia non volevano uscire con la matrigna per non sfigurare? Ebbene Santa era piú bella di loro due e della madre insieme.

— Ma come, è sparita? Non si sa cos’ha fatto?

Nuto disse: — Si sa. La cagnetta.

— Che cosa c’è di cosí brutto?

— La cagnetta e la spia.

— L’hanno ammazzata?

— Andiamo a casa, — disse Nuto. — Volevo svagarmi ma neanche con te non posso.


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