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prese in disparte e mi disse che in municipio doveva esserci ancora la mia pratica, se volevamo far ricerche. Gli risposi ch’ero già stato in Alessandria, all’ospedale. Il meno invadente era sempre il Cavaliere, che sapeva tutto sull’antica ubicazione del paese e sulle malefatte del passato podestà.

Sullo stradone e nelle cascine ci stavo meglio, ma neanche qui non mi credevano. Potevo spiegare a qualcuno che quel che cercavo era soltanto di vedere qualcosa che avevo già visto?. Vedere dei carri, vedere dei fienili, vedere una bigoncia, una griglia, un fiore di cicoria, un fazzoletto a quadrettoni blu, una zucca da bere, un manico di zappa? Anche le facce mi piacevano cosí, come le avevo sempre viste: vecchie dalle rughe, buoi guardinghi, ragazze a fiorami, tetti a colombaia. Per me, delle stagioni eran passate, non degli anni. Piú le cose e i discorsi che mi toccavano eran gli stessi di una volta — delle canicole, delle fiere, dei raccolti di una volta, di prima del mondo — , piú mi facevano piacere. E cosí le minestre, le bottiglie, le roncole, i tronchi sull’aia.

Qui Nuto diceva che avevo torto, che dovevo ribellarmi che su quelle colline si facesse ancora una vita bestiale, inumana, che la terra non fosse servita a niente, che tutto fosse come prima, salvo i morti.

Parlammo anche del Valino e della cognata. Che il Valino adesso dormisse con la cognata era il meno — che cosa poteva fare? — , ma in quella casa succedevano cose nere: Nuto mi disse che dalla piana del Belbo si sentivano le donne urlare quando il Valino si toglieva la cinghia e le frustava come bestie, e frustava anche Cinto — non era il vino, non ne avevano tanto, era la miseria, la rabbia di quella vita senza sfogo.

Avevo saputo anche la fine di Padrino e dei suoi. Me l’aveva raccontata la nuora del Cola, quel tale che voleva vendermi la casa. A Cossano, dov’erano andati a finire coi quattro soldi del casotto, Padrino era morto vecchio vecchissimo — pochi anni fa — su una strada, dove i mariti delle figlie l’avevano buttato. La minore s’era sposata ragazza; l’altra, Angiolina, un anno dopo — con due fratelli che stavano alla Madonna della Rovere, in una cascina dietro ai boschi. Lassú erano vissute col vecchio e coi figli; facevano l’uva e la polenta, nient’altro; il pane scendevano a cuocerlo una volta al mese, tant’erano fuorimano. I due uomini lavoravano forte, sfiancavano i buoi e le donne; la piú giovane era morta in un campo


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