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volta, che la vita ha valore solamente se si vive per qualcosa o per qualcuno...
Anche questo le avevo insegnato. La frase era mia. «Se ti chiede per chi vivi tu, — mi gridai, — cosa rispondi?»
— Allora, non mi detesti, — balbettai sorridendo, — qualcosa di buono tra noi c’è stato? Puoi pensare a quei tempi senza cattiveria?
— A quei tempi tu non eri cattivo.
— Adesso sí? — dissi stupito. — Adesso ti faccio ribrezzo?
— Adesso soffri e mi fai pena, — disse seria. — Vivi solo col cane. Mi fai pena.
La guardai interdetto. — Non sono piú buono, Cate? Anche con te, non sono buono piú che allora?
— Non so, — disse Cate, — sei buono cosí, senza voglia. Lasci fare e non dài confidenza. Non hai nessuno, non ti arrabbi nemmeno.
— Mi sono arrabbiato per Dino, — dissi.
— Non vuoi bene a nessuno.
— Devo baciarti, Cate?
— Stupido, — disse, sempre calma, — non è questo che dico. Se io avessi voluto, mi avresti baciata da un pezzo — . Tacque un momento, poi riprese: — Sei come un ragazzo, un ragazzo superbo. Di quei ragazzi che gli tocca una disgrazia, gli manca qualcosa, ma loro non vogliono che sia detta, che si sappia che soffrono. Per questo fai pena. Quando parli con gli altri sei sempre cattivo, maligno. Tu hai paura, Corrado.
— Sarà la guerra, saranno le bombe.
— No, sei tu, — disse Cate. — Tu vivi cosí. Adesso hai avuto paura per Dino. Paura che fosse tuo figlio.
Dal cortile ci chiamarono. Chiamavano Cate.
— Torniamo, — disse Cate sommessa. — Stai tranquillo. Nessuno ti disturba la pace.
M’aveva preso per il braccio e la fermai. — Cate, — le dissi, — se fosse vera la cosa di Dino, ti voglio sposare.
Mi guardò, senza ridere né turbarsi.
— Dino è mio figlio, — disse piano. — Andiamo via.
Passai cosí un’altra notte come la prima quando l’avevo ritrovata. Stavolta l’Elvira era a letto da un pezzo. Adesso che stavo giorno e notte in collina, lei sapeva di avermi al sicuro e mi lasciava sbizzarrire. Mi burlava soltanto perché, con tutti i miei
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