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sarebbe impazzita. La portavano a casa. S’era di nuovo avvelenata.

A mezzanotte seppi il resto della storia. Passò Momina in albergo con l’automobile e mi disse che Rosetta era già a casa, distesa sul letto. Non pareva nemmeno morta. Soltanto un gonfiore alle labbra, come fosse imbronciata. Il curioso era stata l’idea di affittare uno studio da pittore, farci portare una poltrona, nient’altro, e morire cosí davanti alla finestra che guardava Superga. Un gatto l’aveva tradita — era nella stanza con lei, e il giorno dopo, miagolando e graffiando la porta, s’era fatto aprire.


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