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Non c’era errore. Né Mariella né la Nene l’avevano vista. Momina non aveva il coraggio di telefonare alla madre. — Speravo ancora che fosse con te, — balbettò con una smorfia.

Le dissi che la colpa era sua; che, se anche Rosetta non si ammazzava, la colpa era sua. Le dissi non so che cosa. Mi pareva di aver ragione e di potermi vendicare. La insolentii come se fosse mia sorella. Momina guardava il tappeto e non cercava di difendersi. — Mi secca, — disse, — che credono che fosse con me.

Telefonammo alla madre. Non era in casa. Allora in macchina facemmo il giro dei negozi e delle chiese dove poteva esser andata. Tornammo alla villa, di dove volevo telefonare al padre. Ma non ce ne fu bisogno. Mentre scendevo dalla macchina la vidi avvicinarsi, grossa e nera, sotto gli alberi del piccolo viale.

Per tutto quel giorno, in compagnia dei due vecchi che urlavano, telefonammo e aspettammo e corremmo alla porta. A me pareva di esser stata sorda e cieca, mi tornavano in mente le parole, le smorfie, gli sguardi di Rosetta, e sapevo di averlo saputo, sempre saputo, e non averci fatto caso. Ma poi dicevo «Si poteva fermarla?» e dicevo «Magari è scappata come te con Becuccio» e rivedevo le smorfie, le parole, gli sguardi.

Poi cominciò a venire gente. Tutti dicevano: — La trovano. È questione di tempo — . Venne Mariella, venne sua madre; conoscenti e parenti; venne uno della questura. Nel salone arioso, sotto il grande lampadario, sembrava un ricevimento, e si chiedevano come può darsi che chi come Rosetta ha tanto bisogno di vivere, voglia morire. Qualcuno diceva che il suicidio andrebbe proibito.

Momina discorreva con tutti, tagliente e cortese. Non mancò qualcuna che mi parlò del mio lavoro e s’informò dell’apertura del negozio. Altri negli angoli cominciavano a dir la loro sulla storia di Rosetta. Io non potevo piú restare. Madame mi aspettava.

Tutta la sera mi rimasero in mente gli occhi stravolti della madre, la faccia istupidita e feroce del padre, e non riuscivo a non pensare che somigliava a Rosetta. Momina, che doveva telefonarmi, non si faceva viva. Ero in seduta coi disegnatori e con Febo. Mi alzai e andai io al telefono.

La cameriera mi disse piangente che la signorina era stata trovata. Era morta. In una camera d’affitto di via Napione. Venne Mariella al telefono. Mi disse con voce rotta che non c’erano dubbi. Momina e gli altri erano andati a riconoscerla. Lei no, non poteva,


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