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XXVI.

Momina diceva che le mostre, i concerti, il teatro, sono belle cose soltanto perché ci va molta gente. — T’immagini, — diceva, essere sola in un teatro, in una galleria...

— Ma è la gente che dà noia.

— Infatti, — diceva Momina. — Un concerto, una compagnia, un balletto non sempre piacciono. Ci vai soltanto quando hai voglia di vedere e di discorrere. È come fare una visita...

— La musica no, — disse Rosetta. — Davanti alla musica bisogna essere sole. Quando a Torino davano dei concerti possibili...

Io mi chiedevo che cosa avrebbe detto Becuccio. Ma era assurdo anche soltanto pensarlo. Non c’è che essere stati insieme di notte sullo stesso cuscino, per capire che ciascuno è fatto a suo modo e ha la sua strada.

Dissi a Rosetta: — Davvero le piace la musica?

— Non mi piace ma è, — disse lei. — È qualcosa. Forse soltanto sofferenza.

— Dev’essere come dipingere, — disse Momina.

— Oh no, — disse Rosetta, — dipingere è un’ambizione. Invece ascoltando musica tu ti abbandoni...

Dentro di me sorrisi appena. Con tante cose che ci sono al mondo, con tante che tutte e due ne sapevano e avevano, parlavano della musica come se fosse cocaina o la prima sigaretta.

— Io credo, — disse Momina, — che gli artisti non soffrono mica. Fanno star male chi li ascolta, se li prende sul serio.

— Sono gli altri che soffrono e godono, — disse Rosetta. — Sempre gli altri.

— Chi fa il vino non si ubriaca, — dissi. — Volete dir questo?


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