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Maurizio non aveva fretta. Queste cose si ottengono quando ormai si può viverne senza.

Ne parlai con Rosetta quando tornò a trovarmi. Ricomparve in quel solito modo, sulla porta, mentre uscivo. Le dissi ch’ero stata invitata alla festa di Loris. — Ci va? — mi chiese, con un mezzo sorriso.

— La Nene mi vuole, Mariella mi vuole. Da ragazza, quando mangiavo in latteria, questi inviti mi avrebbero fatta ammattire. Invece allora si andava in collina.

Rosetta mi chiese che cosa facevo alla domenica a quei tempi. — Gliel’ho detto. In collina. O a ballare. O al cinema. A far la lotta coi ragazzi.

— In collina, facevate queste cose?

— Poche cose — . La guardai. — Molto meno di quello che si fa in altri ambienti.

— Loris, — mi disse Rosetta, — mi portava qualche volta nei caffè dei bassifondi.

— Dove scorre il sangue, — le dissi. — Ha visto scorrere il sangue?

— Loris giocava al biliardo. C’era sovente il varietà. Donne disgustose...

— Lei ci crede a questi bassifondi?

— Sono cose che si fanno per vedere, — disse Rosetta. — È una vita, è miseria che a noi sfugge.

— Le cose non basta vederle, — le dissi. — Scommetto che da tutta quell’esperienza una cosa sola ha ricavato...

— Quale?

— Ha conosciuto meglio Loris.

Rosetta fece una cosa che non m’aspettavo. Rise. Rise in quel suo modo forzato, ma rise. Disse che aveva ragione la Nene: gli uomini sono bambini, gli artisti due volte bambini. Non c’era voluto gran che a conoscer Loris, molto meno che a liberarsene.

— Io non ci credo a questa storia dei bambini, — le dissi. — Gli uomini non sono bambini. Crescono anche da soli.

Di nuovo Rosetta ebbe un’uscita che non m’aspettavo. — Sporcano, — disse. — Sporcano come i bambini.

— Come, sporcano?

— Quello che toccano. Sporcano noi, sporcano il letto, il lavoro che fanno, le parole che usano...


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