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— Ecco, — disse Momina, — il tuo amico Morelli c’inviterebbe a bere un litro. Il male è che non lo sopporta.

— Tu lo sopporti? — disse Rosetta.

— A Roma questo si potrebbe fare, — dissi. — È il bello di Roma.

— Il vino lo sopporto. Non sopporto sempre Morelli, — disse Momina.

Ci appoggiammo al muricciolo che dava sull’acqua e accendemmo una sigaretta.

— Questa vita l’ho fatta, — dissi a Rosetta. — In bettola no, ma in latteria. Torino è piena di ragazze che la fanno.

— Dev’esserci qualcosa di bello, — disse Rosetta. — Quando andavo a scuola, la mattina, passavo sempre davanti a una latteria e d’inverno dai vetri si vedeva la gente che si scaldava le mani sulla tazza. Dev’essere bello starsene cosí sole, mentre fuori fa freddo...

Le dissi che non sempre al mattino le ragazze hanno tempo di scaldarsi le mani. Si butta giú la tazza e si corre all’ufficio maledicendo qualcuno.

Allora Rosetta mi disse: — Secondo lei sono sceme le ragazze che lavorano? Dovrebbero vendersi invece?

Momina che guardava nell’acqua, disse: — Sembra una fogna, non il mare. Ci lavano i piatti?

— È vendersi anche andare all’ufficio, — risposi a Rosetta, — ci sono tanti modi di vendersi. Non so quale sia il piú inutile.

Non sapevo nemmeno perché dicessi queste cose proprio a lei. Di fatto, pensavo tutt’altro.

Rosetta ribattè, toccata: — Lo so che la vita è difficile...

— Oh smettetela, — disse Momina, — di parlare di politica... Muoviamoci.

Camminavamo, adesso, nel centro della strada. Rosetta meditabonda mi gettava occhiate. Un bel momento disse:

— Non deve pensare, Oitana, ch’io disprezzi le prostitute. Si fa di tutto, per vivere... Ma non è piú semplice vivere lavorando?

— È un lavoro anche quello, — dissi, — non creda che si faccia per altro. Dappertutto c’è l’ingranaggio.

— Secondo me le prostitute sono stupide, — disse Momina. Basta la faccia che certe hanno.

— Dipende da chi chiami prostituta, — disse Rosetta. — La faccia che dici ce l’hanno soltanto quelle che non han fatto fortuna.


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