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Dissi che dovevamo sbrigarci. Mentre prendevano le pose, girai con Rosetta sopra e sotto e le mostrai come riusciva il negozio. Piacquero anche a lei le tendine e le stoffe. Discutemmo sull’illuminazione. Mi chiamarono al telefono.
— Me ne vado, — disse Rosetta, — grazie.
— Vediamoci ancora, — dissi.
La sera vidi con altri Momina — gente nuova, possibili clienti futuri — e si parlò di una scappata in automobile, di andare una domenica fino in Riviera. — Diciamolo anche a Rosetta, — disse Momina.
— Figúrati.
Giorni dopo, passarono in macchina per via Po Mariella e Rosetta, e Mariella che guidava, bionda e fresca, mi gridò senza scendere, che venissi a passeggio con loro. — Di mattina lavoro, — dissi.
— Venga a trovarci, — disse lei. — La nonna vuole conoscerla meglio.
Feci un cenno a Rosetta, e ripartirono.
L’indomani Rosetta ricomparve sulla porta, sola.
— Entri, — le dissi, — come sta?
Andammo per i portici chiacchierando e ci fermammo davanti alla vetrina della Bussola.
— Quasi quasi ci starebbe un salottino cosí, — dissi.
— Le interessano i libri? — disse Rosetta animandosi. — Legge molto?
— Durante la guerra. Non si sapeva cosa fare. Ma non ci riesco mica. Ho sempre l’impressione di mettere il naso negli affari degli altri...
Rosetta si diverti e mi guardò.
— ... Mi sembra una cosa indecente. Come aprire le lettere degli altri...
Rosetta invece aveva letto di tutto. Era stata all’università, lo ammise mortificata, quasi si vergognasse.
— Com’è che Momina ha studiato in Svizzera? — dissi.
Momina era figlia di nobili, che l’avevano allevata spendendoci gli ultimi quattrini. Poi s’era sposata con un padrone di tenute in Toscana, e aveva di bello che non si faceva mai chiamare baronessa. Del resto il titolo non le spettava piú. Rosetta conosceva Neri il marito; era stata con lei in Versilia, proprio nell’estate che Neri faceva la sua corte. Una bella estate anche per Rosetta. S’era diver-
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