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— Che cosa? — esclamò Momina scrutandomi. — Che... Ma no. Storie vecchie. Lo saprei.
— Una ragazza difficile... Metti che le sia toccato uno scherzo come stanotte.
— Ma all’albergo c’era andata da sola, — disse Momina, — e me l’ha detto. Con me non finge. È soltanto Adele che dappertutto vede amore... Rosetta capisce queste cose.
— E allora perché si è avvelenata? — dissi. — Alla sua età?
— Non per amore, sono certa, — disse Momina corrugandosi. Lei fa la vita che ho fatto io, che fanno tutte... Sappiamo bene cos’è il cazzo...
Tacque un poco, attenta alla strada.
— Non so, — dissi, — ma fa succedere dei grossi guai. Sarebbe meglio se non ci fosse.
— Può darsi, — chiacchierò Momina. — Ma a me mancherebbe. A te no? Figurati. Tutti carini e dignitosi, tutti per bene. Non ci sarebbero piú momenti di verità. Piú nessuno sarebbe costretto a uscire dalla sua tana, e mostrarsi com’è, brutto e porco com’è. Come faresti a conoscere gli uomini?
— Credevo che ti piacesse goderli — . Dissi questo e mi fermai. Capii ch’ero sciocca. Capii che Momina era peggio di me, e di queste cose rideva.
Ma non rise. Fece un fischio, un leggero fischio di disprezzo. — Vogliamo tornare? — disse.
Il ronzio del motore m’assopiva e pensavo alla notte, ai peli rossi di Febo. La nebbiolina sotto il sole mi dava un senso di fresco, e m’accorsi a un tratto che rivedevo la latteria a mattonelle dove tante mattine ero entrata sola, prima di correre all’atelier, e Guido dormiva sazio, nel mio letto.
— Tu perché credi che Rosetta l’abbia fatto? — chiese Momina d’improvviso.
— Non lo so, — dissi. — Può darsi...
— Non si riesce a saperlo, — disse lei bruscamente. — Ti fa quegli occhi spaventati... si difende... Non ne aveva mai parlato con noi. Tu sai che cosa voglio dire...
Arrivammo a Montalto che le persiane erano ancora chiuse ma un sole fresco riempiva il giardino. Momina che mi stava raccontando quanto forte la prendesse a volte il disgusto — non la nausea di questo o di quello, di una serata o di una stagione, ma lo schifo
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