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Quando si trattò delle camere, Febo disse: — Peccato che non ce ne dànno una in tre.
Momina disse: — Per me e Clelia ce la dànno.
Ma c’eravamo appena tolta la pelliccia e bagnate le mani (Momina nella borsetta portava crema e profumo) che s’aprí la porta e Febo entrò con un vassoio di liquore.
— Servizio, — disse. — Offre la casa.
— Metta lí, — disse Momina. — Buona notte.
Non fu possibile cacciarlo via. Dopo un poco Momina si sedette sul letto, io mi distesi dall’altra parte e mi avvolsi nelle coperte. Febo, seduto accanto a Momina, chiacchierava. Chiacchieravano di donne, di locali di Torino. Ne dissero di tutti i colori, con una libertà ch’era strana fra due che si davano ancora il lei e soltanto il giorno prima non si conoscevano. Febo facendo grandi risate s’era già rovesciato due o tre volte sul letto, e finí che ci rimase. Anche Momina si distese accanto a lui. M’assopii rassegnata, diverse volte, e sempre svegliandomi di soprassalto li ritrovavo li distesi a confabulare. Poi m’accorsi che s’erano avvolti nella stessa coperta. A un certo punto, a un improvviso sussulto di Febo, menai un calcio che mi fu impedito dalle coperte. Allora mi sedetti sul letto e mi misi a fumare. Momina era corsa nel bagno, Febo scarmigliato mi tese un bicchierino dalla bottiglia quasi vuota.
L’ebbi addosso come un diavolo e strappò le coperte. S’agitò poco e fu subito fatto. Momina non era ancora rientrata che Febo era già in piedi accanto al letto coi peli dritti come un cane e si ravviava la testa. — Adesso ci lascia dormire? — borbottai.
Quando fu uscito, mi sfilai l’abito (non mi tolsi nient’altro) e mi riavvolsi nella coperta. M’assopii prima che Momina tornasse.
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