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darle colore (era uscita dal banco, e ci eravamo portate sull’uscio, per meglio vederci), discorremmo cosí, festeggiandoci, e lei mi guardava la pelliccia e le calze con l’occhio intrigato, come fossi sua figlia. Non le dissi tutto quel che avevo fatto e perché ero a Torino; lasciai che pensasse ciò che voleva; accennai vagamente che stavo a Roma e che avevo lavoro. Quand’eravamo due bambine, Gisella era tenuta stretta stretta, tanto che con me si lagnava di non poter nemmeno andare al cinema, e io allora le dicevo di venirci lo stesso.

Mi aveva già chiesto se m’ero sposata, e alla mia alzata di spalle impaziente aveva fatto un sospiro, non so se per me o su se stessa. — Sono vedova, — mi disse, — Giulio è morto — . Giulio era il figlio della merciaia, la prozia che aveva allevato nel negozietto Gisella rimasta orfana, e già ai miei tempi si sapeva che voleva farsene una nuora. Giulio era un tisico ragazzo lungo lungo che portava un mantello invece del soprabito o del maglione, e d’inverno andava sempre a sedersi sui gradini del duomo per prendere il sole. Gisella non parlava mai di Giulio: era la sola a non voler credere che la vecchia la teneva in casa per farle sposare quel malato, e diceva che non era malato. Gisella allora era svelta, giudiziosa — in casa sovente ce la portavano a esempio.

— E Carlotta? — le dissi. — Che fa? balla sempre?

Ma Gisella parlava ormai del negozio e mi fece la solita lagna — era felice di avermi e potersi sfogare. Mi colpí il tono astioso con cui disse che Carlotta aveva fatto la sua strada — era stata ballerina in Germania durante la guerra, piú nessuno l’aveva vista. Tornò a parlare del negozio, del salasso ch’era stata la morte di Giulio — in sanatorio, sulle spese fino a tre anni fa — , della morte della vecchia e dei tempi cattivi prima ancora della guerra. Le figlie — ne aveva due, Rosa e Lina: una tossiva, era anemica, l’altra no, quindici anni, tutte e due studiavano — erano un grosso guaio, la vita costava, e il negozio non rendeva piú come ai tempi di una volta.

— Ma state bene, avete sempre quell’alloggio...

Miserie, mi disse, piú nessuno pagava l’affitto: lei adesso li aveva sfrattati e affittava a un atelier di ragazze. — Rende di piú, noi ci siamo ristrette, viviamo di sopra — . Alzai la testa, rividi le due stanze in alto, la scaletta, la piccola cucina. Ai tempi della vecchia salire quella scala era un rischio, la vecchia era sempre di


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