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e mi occorreva quella scusa, quel pretesto, per fare il passo. La sciocchezza, l’allegra incoscienza di Guido quando aveva creduto di portarmi con sé e mantenermi — sapevo già tutto fin da principio. Lo lasciai fare, provare, dibattersi. L’aiutavo persino, uscivo prima dal lavoro per tenergli compagnia. Quello il mio broncio e malvolere, secondo Morelli. Avevo riso e fatto ridere tre mesi il mio Guido: era servito a qualcosa? Nemmeno di piantarmi lui era stato capace. Non si può amare un altro piú di se stessi. Chi non si salva da sé, non lo salva nessuno.

Ma — qui Morelli non aveva torto — , nonostante tutto, ero tenuta a ringraziare quei giorni. Dovunque fosse, morto o vivo che fosse, dovevo a Guido la mia fortuna e lui nemmeno lo sapeva. Avevo riso alle sue frasi stravaganti, a quel modo che aveva d’inginocchiarsi sul tappeto e ringraziarmi di esser tutta per lui e di volergli bene, e gli dicevo: — Non lo faccio apposta — . Lui disse una volta: — I favori piú grossi si fanno senza saperlo.

— Tu non li meriti, — dissi.

— Nessuno merita qualcosa, — mi aveva risposto.

Diciassette anni. Me ne restavano almeno altrettanti. Non ero piú giovane e sapevo quel che un uomo — anche il migliore — può valere. Riuscii tra i portici e guardai le vetrine.


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