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Poli balbettava che vivere è facile quando si sa liberarsi dalle illusioni.

Oreste gli consigliò di riposarsi per resistere poi al viaggio. Gabriella gli tolse di mano il bicchiere e gli disse di stendersi. Poi cominciarono a girare per casa, lei e Pinotta, e mandarci qua e là, vuotare cassetti, impacchettare. Oreste la seguiva a denti stretti.

Poco dopo mezzogiorno arrivò l’automobile, la macchina verde, condotta da un giovanotto in livrea. Il signor commendatore — disse rispettosamente — era fuori Milano. Gabriella gli fece caricare le valige.

Mangiammo, in silenzio. Gabriella dovette alzarsi per parlare col vecchio Rocco. Da solo, andai a sedermi sul ciglione e guardai la pianura, le coste selvagge. Era un giorno di grandi nuvole bianche nel cielo dolce che sapeva di frutta.

Salimmo sulla macchina. Noi tre passammo dietro. Poli non disse una parola e mi stupí che non prendesse il volante. Oreste aveva a tracolla il suo fucile da caccia e sosteneva la bicicletta sul montatoio.

Ai piedi del Greppo non pensai di voltarmi. Ci fu una discussione per mostrare la strada all’autista. In pochi minuti di sobbalzi fummo alla Stazione, tra le case fiorite, davanti alle colline familiari. Mi parve di averle sempre conosciute. Smontammo al passaggio a livello. Di là c’era la strada provinciale, coi paracarri e le siepi basse, asfaltata e bianca. Scambiammo parole, scherzammo, la faccia dura di Gabriella sorrise un attimo. Poli agitò la mano.

Poi partirono e noi andammo a bere al Mulino.


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