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S’allontanò nell’aria chiara. Noi rientrammo nella sala. Mi pareva impossibile che avremmo ripresa la vita di prima. Qualcosa era cambiato. Chi avrebbe detto la parola? Era come se anche noi ci fossimo già accommiatati.

Nel disordine della sala stagnava quell’odore di chiuso e di fiori. Sentii il puzzo della cera. Dentro un piatto una sigaretta finiva di bruciare.

— La Pinotta, — disse Oreste, — la trovo stanotte in cucina che piange perché nessuno la fa mai ballare.

Restammo lí sulle poltrone. Io mi aspettavo il mal di capo e lo covavo. — Bevici sopra, — disse Pieretto, — ci vuole —. Si versò un bicchierino.

Allora parlammo di andare ai Due Ponti, a far la spesa. L’idea ci piacque. — Cosí aiutiamo la Pinotta.

Salii per prendere la giacca nella mia camera. Mentre passavo in corridoio — quell’odore leggero di tendine e di sole — sentii tossire, scatarrare, rantolare. Veniva dalla stanza di Poli. Posai la mano sulla maniglia, e la porta cedette. Poli, seduto sul letto, in pigiama, sollevò gli occhi ansante. Teneva in mano un fazzoletto tutto pieno di sangue. Se lo portò alla bocca.

M’ero fermato irresoluto e Poli mi guardava con quegli occhi gonfi, inermi...

— Non capisco, — balbettò, ansando.

Fece un gesto come per nascondere la mano, poi invece l’aprí. Anche la mano era sporca di sangue. — Non è vomito, — disse. — Gabriella...

La trovai nella sua stanza. Corse infilandosi la vestaglia. Poli l’accolse sorpreso, con un broncio da bambino punito. Disse: — Non mi fa male. Ho soltanto sputato.

Chiamammo Oreste, chiamammo Pieretto. Gabriella s’aggirava a scatti nella stanza, intorno a Poli. Tutte le occhiate, le parole, i sussulti di quei giorni le bruciavano negli occhi come febbre. Quella durezza non la smise piú.

Oreste, volenteroso e taciturno, auscultò Poli mordendosi il labbro. — Noi andiamo, — dissi a Pieretto, — li lasciamo tranquilli.

— Tu lo sapevi ch’era tisico? — ci dicemmo in veranda.

— Con la vita che ha fatto, non c’è da stupirsi, — dissi. — Probabilmente lo sapeva...

— Macché, — disse Pieretto, — in questi casi ci si cura.


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