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XXIX.

Adesso molti erano usciti sotto i pini. Si parlava di darsi la caccia giú per la collina. Cercavano qualcuno, credo Poli e quella degli anelli. Il grammofono taceva. Andai a bere un altro gin.

Oreste mi passò accanto e mi diede una spallata. Era felice, chi sa come.

— Vanno bene le cose?

Aveva i capelli arruffati anche lui.

— Questi bischeri, — disse. — Se ne andassero.

— Cosa dice Gabriella?

— Non vede l’ora di mandarli via.

Gabriella era uscita in quel momento con Dodo. — Bene, — gli dissi, — devi bere.

Per la finestra entrava fresco, quasi freddo (ormai sera e mattino la pianura si velava di nebbie). La Pinotta passò davanti alle magnolie con un vassoio, e nell’ombra qualcuno la prese; era cilli. Lei fuggí con un brusco strattone, buttando i bicchieri. Al rovinio scoppiarono degli evviva tra i pini.

— Vedi, — dissi a Oreste, — stanotte fanno a volontà. Dov’è Pieretto?

— Andassero, — disse lui.

Eravamo soli, in veranda. — Questa notte puoi dirmelo, — mormorai dietro il bicchiere, — ci sei stato sul terrazzo con lei? Ce l’hai fatta?

Oreste mi guardò con franchezza, e mosse appena le labbra. Mi sporsi innanzi. Scosse il capo sorridendo e se ne andò.

Sentii qualcuno scatarrare sulla scala e voci sommesse. Di lí si andava alle stanze da letto. Magari nella mia. Non mi tenni e mi


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