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Cominciò cosí quella notte, che doveva essere l’ultima. Fuori nell’aria sottile, stellata, regnava un odore di pini e di campagna matura. La luce brutale dei fari delle due macchine dava uno spicco magico alla ghiaia, ai tronchi neri, al vuoto della pianura. Da ogni parte sbucavano i milanesi. Gabriella, a casaccio, mi presentò di qua e di là; accecato, strinsi mani, ne strinse Pieretto; quando rientrammo per sederci non conoscevo nessuno.

La nostra cena fu travolta. Pinotta, che di solito ci serviva in grembialino, ricomparve con la cuffia. Spalancarono il mobile dei liquori. Ragazze e uomini si buttarono sulle poltrone, protestando e ridendo, qualcuno aveva già mangiato, qualcuno bevuto, dalle macchine arrivarono ceste, un diluvio di cose, di bottiglie, di dolci; saltarono tappi. Contai tre donne e cinque uomini.

Le donne vestivano da viaggio, con scialli intorno al viso, un arabesco di colori e di gambe nude. Nessuna valeva Gabriella. Vociavano, chiedevano fuoco, ci guardavano dritto in faccia. I nomi s’incrociavano, sentii quello di Mara. Tra gli uomini c’era un giovane scarno, dal viso spiritato, dalla strana giacchetta che gli finiva alla vita. Lo chiamavano Cilli e diede entrando un’occhiataccia alla Pinotta che fece ridere tutti. Un altro prese Gabriella sottobraccio e si lasciarono cadere su un divano. Qualcuno assisteva al tumulto, in disparte, compíto, e gridava saluti.

Mentre sfogavano quel primo ritrovarsi, fu impossibile parlare d’altro. I richiami a Milano, le botte risposte, la comune eccitazione, travolsero anche Poli, che fece festa alle donne, ammiccava, volubilmente rispondeva. Gabriella, accesa in viso, teneva testa ai piú vicini. L’argomento di tutti era una protesta, quasi un coro, contro la vita nascosta dei due, l’immorale egoismo dell’amore in campagna, la noia deliberatamente cercata. Un uomo dall’abito chiaro, dal viso forte e sarcastico — certo Dodo quarantenne, seppi poi — colse un momento di silenzio e dichiarò freddamente che le avventure si corrono con le mogli degli altri, non mai con la propria.

Pieretto, come un cane da caccia, fiutava l’ambiente. M’accorsi che Oreste era sparito. Era sparita Gabriella. Rientrarono subito, trasportando un tavolino. Venne Pinotta, occhi bassi, con del ghiaccio pesto. Gabriella ridendo batté le mani — m’accorsi che s’era cambiato vestito, era in celeste — e invitò, chi voleva, a salire e ripulirsi. Restammo sulla veranda in quattro o cinque, e una magra donna seduta accanto a Poli.


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