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Tra le piante comparve Oreste, con quell’aria offesa.
— Per me, — disse Poli, — siamo tutti nudi senza saperlo. La vita è debolezza e peccato. La nudità è debolezza, è come avere una ferita aperta... Le donne lo sanno quando perdono sangue...
— Il tuo Dio dev’essere nudo, — borbottò Pieretto, — se ti somiglia dev’essere nudo...
A tavola ci sedemmo imbarazzati. Nemmeno Pieretto scherzava quella sera. Il piú innocente mi pareva Oreste, che guardava Gabriella tristissimo. Qualcosa era rimasto nell’aria da quel colloquio sotto i pini, qualcosa che ci faceva vergognare. D’un tratto m’accorsi che tra Poli e Gabriella correvano occhiate, occhiate dure, quasi ansiose, vere. Mi riprese la vecchia impazienza, la volontà di esser solo. Fu Pieretto questa volta che parlò.
— I piaceri del Greppo sono agli sgoccioli, — uscí brusco. — Tu Oreste che cosa ne dici?
Oreste, colto in uno sguardo intenerito, alzò la testa. Ma nessuno sorrise. Né Poli né Gabriella obbiettarono nulla. Era evidente che qualcosa accadeva. Ripensai a Rosalba.
— Cacciatori, la stagione è finita, — disse allora Pieretto.
Oreste sorrise timidamente. — C’è ancora la stagione di passo, — disse a un tratto Gabriella con inattesa vivacità. — Le beccacce, le starne — . S’imbronciò. — Prima dovete vendemmiare.
Riparlammo di questo, la spina d’Oreste. C’era l’intesa con suo padre che dovevamo esser presenti alla vendemmia a San Grato. A suo tempo l’avevamo discusso, e come sempre a quell’accenno Oreste si rabbuiò.
— È un peccato che le vigne del Greppo le vendemmino soltanto i tordi, — disse Poli sbirciandolo. — Consòlati, Oreste. Tu vai laggiú e noi ti aspettiamo.
Ma, strano a dirsi, proprio il disagio che pesava sulla cena toglieva malizia alle occhiate. Nel silenzio che seguí scoppiò l’urlo di un clacson. Una luce repentina investi i vetri, e Gabriella era già in piedi, animata, esclamando: — Sono loro. Sono tornati — . Si udí vociare e gridare. L’urlo del clacson parve quello di Oreste. Poli si alzò di malavoglia. La Pinotta attraversò la sala, per scappare in cucina. A un certo punto mi trovai solo, in piedi, con Oreste, e ricordo che mi versai da bere, non so perché, mentre fuori risate e baccano aumentavano. Posai la mano sulla spalla d’Oreste e gli dissi: «Coraggio».
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