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— Nemmeno per sogno. Non ti accorgi che parlando delle donne ci soffre? Quello è uno scemo, innamorato...
Quando scendemmo la canzone era finita da un pezzo. La Pinotta che spolverava, ci disse che Oreste, appena messo su il disco, era partito sul biroccio, dicendo che sarebbe tornato per mezzogiorno.
— Non ha piú pace, — disse Pieretto, — ci siamo.
— Tornerà in bicicletta.
Pieretto se la rise, e anche Pinotta mi guardò impertinente.
Non mi tenni. — Chi sa, — brontolai, — che effetto gli farà la Stazione.
— Gli farà bene alla salute, gli farà bene alla salute, — e Pieretto si fregò le mani. Poi disse a Pinotta: — Si è ricordata delle sigarette?
Alle undici, non potendone piú, salii a bussare alla stanza di Poli. Volevo chiedergli dell’aspirina. — Avanti, — mi disse. Era a letto sotto il baldacchino con un bel pigiama granata, e seduta alla finestra, già in calzoncini, stava Gabriella.
— Scusate.
Mi guardò divertita.
— Questo è il giorno delle visite, — disse.
C’era qualcosa d’impacciato. Non mi piacquero le facce.
Lei stessa si alzò per andarmi a prendere il calmante. Attraversò la stanza, di pianelle rosse lucidissime, e frugò in un cassetto. — Purché non mi sbagli, — disse ridendo nello specchio.
— È nel bagno, — disse Poli.
Gabriella sgusciò fuori.
— Mi dispiace, — balbettai. — L’altra notte non abbiamo dormito.
Poli mi guardava, senza sorridere, annoiato. Ebbi l’impressione che non mi vedesse. Mosse la mano e soltanto allora mi accorsi che fumava.
Tornò Gabriella e mi tese il tubetto. — Scendiamo subito, — disse.
Passai la mattina alla grotta, col mio mal di capo. Mi chiedevo se dalla loggia di Gabriella si vedevano le canne dov’ero. Pensavo alla vecchia Giustina, alla madre di Oreste, e che cosa avrebbero detto sapendo quel che succedeva sul Greppo. Ma quel mattino mi sentivo piú tranquillo, mi pareva che la cosa piú difficile fosse stata accettata, che tutto potesse ancora aggiustarsi. Quell’acci-
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