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XXV.

— Che voglia di entrare in un bar, — disse Pieretto quando tornammo sugli scalini con la bottiglia, — passare davanti a un cine, far notte a Torino. Voi no?

— A volte, — disse Poli, — mi chiedo se le donne capiscono. Se capiscono che cos’è un uomo... Le donne o gli corrono addosso o scappano per farsi rincorrere. Nessuna donna sa stare sola.

— All’una di notte ne incontri, — disse Pieretto.

— C’è stato un tempo che le credevo sensuali, — disse Poli guardando a terra, — credevo sapessero almeno questo; Macché. Non vanno oltre la pelle. Nessuna donna vale un pizzico di droga.

— Ma non dipende anche dall’uomo? — brontolai.

— Il fatto, — disse Poli, — è che mancano di vita interiore. Mancano di libertà. Per questo, rincorrono sempre qualcuno, che non trovano. Le piú interessanti sono le disperate, quelle che non sanno godere... Non le soddisfa nessun uomo. Ci sono vere femmes damnées.

— Dans les couvents, — disse Pieretto.

— Macché, — disse Poli, — sui treni, negli alberghi, per il mondo. Nelle migliori famiglie. Le donne chiuse in convento e in prigione sono donne che han trovato un amante... Il dio che pregano o l’uomo che hanno ucciso non le lascia un momento, e stanno in pace...

Tesi l’orecchio a un cigolio sulla ghiaia. Sperai che Oreste e Gabriella tornassero e fosse finita. Ma era una pigna o una lucertola.

— Questo discorso non riguarda te, — disse Pieretto. — O vuoi uccidere qualcuno?

Poli accese la sigaretta, e comparve il suo viso, con occhi soc-


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