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derlo. È stato il padre di Poli a mandargliela qui. Perché cercasse di tenerlo a posto, che non facesse piú disordini. Hai visto come Poli la tratta...

Non gli risposi che non si cura un malato facendolo bere, facendogli rabbia, facendogli l’amore sotto gli occhi. Era inutile, perché Oreste parlava indignato, con quel testardo rossore che vuol dire «Stavolta o mai piú».

— ... È una ragazza straordinaria, — disse Oreste. — Dovevi vederla ballare, ridere alla festa, scherzare coi musicanti... Sa stare con tutti...

— E ti ha detto che sei tu il suo uomo?

Oreste fece uno sforzo e mi guardò. Mi guardò di soppiatto, con aria di compatimento. Gli brillavano gli occhi. Giorni dopo, quando fu chiaro che quel gioco era piú grosso di noi, capii che l’occhiata era stata un tentativo di non essere insolente, di non offendermi con la sua felicità. Perché queste cose ci facevano vergogna. Non sapevamo parlarne.

— Del resto, — disse Oreste, — lo sa anche Poli. Dopo la storia di Torino... Lei viveva già da sola...

— Lei, te l’ha detto? E allora, che cosa ci fanno qui insieme?

Continuammo cosí fin che non vennero a interromperci. Non mi riuscí d’inquietarlo, di togliergli quel suo accanimento. Gabriella dovette capire che si parlava di lei perché venne, ci prese a braccetto, ci disse: — Su su, chiacchieroni, — e tutto il tempo mi scrutò.

Quel pomeriggio andammo a caccia. Venne anche Poli. — Noi discorriamo, loro sparano, — gli disse Pieretto. A me pareva che Poli guardasse Oreste e la moglie con aria divertita. Ogni tanto si soffermava, tratteneva Pieretto, tratteneva me, ci diceva quant’era bello che di tante conoscenze che aveva fatto in quegli anni nessuno lo capisse come noi due. Io lasciavo parlare Pieretto; un bel momento m’impazientii e svoltai dietro un macchione. Sapevo che Oreste e Gabriella dovevano scendere fino alle vigne per trovare i fagiani, sapevo che Gabriella non pensava ai fagiani, nemmeno Oreste ci pensava, nemmeno Poli. Allora decisi di starmene solo, di cercarmi una riva, delle canne, e l’orizzonte. Cosí feci e mi misi a fumare.

Certo, era duro non vedere Gabriella, non sentirla discorrere, non essere al posto d’Oreste. Mi chiesi se in quell’ultimo colloquio


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