Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/237



Oreste era in piedi davanti a Pieretto, e non diceva parola. Si fissarono un attimo, scarlatti, ma già Pieretto era tornato in sé.

— Che ti piglia? — disse brusco. — T’ha fatto male il tiro a segno?

Oreste squadrò lui, squadrò Poli, poi se ne uscí senza dir nulla.

Non appena fummo soli sulle scale, chiesi a Pieretto se sapeva di Rosalba. Mi rispose pacato che lo sapeva da un pezzo, e fin dai giorni di Torino se l’era aspettato. — Che vuoi che facesse una donna in quella situazione? Una donna non ha scappatoie. Sono incapaci di pensiero astratto...

— Poli è un bastardo e un incosciente...

— Non lo sapevi? — disse lui. — Dove vivi?

L’avrei pestato. Mi morsi la lingua. In quel momento Gabriella passò in corridoio svolazzando; ci gettò un saluto e corse abbasso.

— Cos’è questo nuovo pasticcio? — borbottai. — Chi l’ha sedotta, di voi due?

— Chi crede d’averla sedotta, vuoi dire. Non è ancor nato quel fringuello.

— Qualcuno però fa sul serio.

— Tutto può darsi, — sogghignò Pieretto. — Gli hai dato tu questo consiglio?

Capii allora che Pieretto era piú innocente di me. Gli presi il braccio — una cosa che non avevo mai fatto — e ci accostammo alla finestra. — Sono tre giorni che va avanti, — gli dissi, — e può succedere un pasticcio. Lo dicevo ch’era meglio andar via. Per me, potrebbero anche ammazzarsi. Non m’importa di Poli... Ma m’importa di Oreste.

— Cos’è che ti spaventa? il fucile? — disse Pieretto, pronto a ridere.

— Intanto ci hai pensato anche tu. Mi spaventa che a Oreste non si può piú parlare...

— Tutto qui?

— Non mi piace la faccia di Poli. Non mi piacciono i discorsi che fa. Non mi piace questa storia di Rosalba...

— Però Gabriella ti piace.

— Non quando si sbronza nei fossi. Questa gente non è come noi...

— Ma è il suo bello, — esclamò Pieretto, — è il suo bello.

— L’hai detto tu che si detestano.


233