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Dissi che sul Greppo si respirava aria buona; se Poli era un signore cosí sano e vivace non lo doveva forse agli anni che aveva passato sul Greppo? La Pinotta si mise in ascolto, con quei suoi sguardi corrucciati.

— Sí sí, — disse Rocco, — aria ce n’è.

«Sarebbe bella, — pensavo, — se Poli facesse all’amore anche con questa».

Dovetti sorridere perché Rocco mi guardò per traverso. Poi si sputò la cicca in mano, una grossa mano annerita, e borbottò qualcos’altro.

Si lagnò della stagione. Disse che l’acqua della vasca non bastava e bisognava trasportarla a braccia. Un tempo c’era stata una pompa ma adesso era rotta.

Allora chiesi di dov’era l’acqua che bevevamo. — Acqua di pozzo, — disse Pinotta dalla finestra. — E chi la tira? — La testa rossa si agitò selvaggiamente. — Io, la tiro.

Io volevo parlare con Rocco, farmi descrivere la selva, la vita d’un tempo, ma gli occhi tondi di Pinotta non mi lasciavano un momento.

Allora chiesi se qualcuno faceva il bagno sul terrazzo e con che acqua. Pinotta sogghignò a modo suo. — In terrazzo la signora fa il bagno di sole, — disse.

— Credevo che l’acqua la portasse lei.

— Non ho ancora ammazzato nessuno.

S’era fatta coraggio e mi chiese perché non ero andato alla festa. Quest’argomento interessò anche Rocco. Mi guardarono speranzosi, come origliassero.

— Non ci stavamo sul biroccio, — tagliai.

Il vecchio Rocco scosse il capo. — Troppa gente, — borbottò, — troppa.

Poli, che aveva ancora dal giorno prima il viso pesto, scese un momento per colazione, poi tornò su e ricomparve soltanto all’imbrunire. In tutto il giorno non avevamo scambiato dieci frasi; non sapevamo cosa dirci; lui sorrideva quel sorriso stanco e gironzava. Sfogliai tutto il pomeriggio i vecchi libri nella stanza da gioco, album ingialliti, vecchie enciclopedie e raccolte illustrate. Quando al crepuscolo entrò Poli, levai il capo e gli dissi:

— Rientreranno per cena?


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