Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— Caro mio, — dissi a Oreste. — Non c’è bisogno di portarla al pantano. Quest’è già nera piú di noi.
— Dici che prende il sole cosí? — balbettò.
— Ti ha invitato a venirci anche te? — Sorrisi, e di nuovo mi dispiacque. Oreste non staccava gli occhi dagli accappatoi.
— Felici le formiche e i calabroni, — dissi. — Scendiamo.
Di chi la colpa, quel mattino? Di me che scherzavo? Oggi ancora pensandoci do la colpa al Greppo, alla luna, ai discorsi di Poli. Avrei dovuto dire a Oreste: — Andiamo a casa — . O parlarne con Pieretto. Forse Pieretto avrebbe ancora potuto salvarlo. Ma Pieretto che capisce tutto, in quei giorni non si accorse di nulla.
Del resto il gioco piaceva anche a me. S’avvicinava mezzogiorno e Gabriella che per tutta la mattina aveva passeggiato per casa in calzoncini, chiacchierato, sbattuto porte, fatto correre Pinotta, Gabriella spariva d’improvviso, lasciandoci sotto i pini assolati o nella tranquilla veranda a leggere o ascoltarci a vicenda. Oreste ed io ci davamo una rapida occhiata, era un nostro segreto, e quell’ora di sole trascorreva sospesa, ronzante, troppo lenta. Un mattino che Poli andò di sopra e per un po’ non lo vedemmo, sentii che Oreste impallidiva. Non ero geloso d’Oreste; io non pensavo seriamente a Gabriella; ma nemmeno mi chiedevo se lui ci pensasse. Mi godevo quel gioco, ecco tutto; era un po’ come un altro segreto del pantano, altrettanto innocuo, e tuttavia stavo attento che Pieretto non capisse. Pieretto era tipo da parlarcene a tavola.
Quando pensai di dire a Oreste: «Ma non ti aspetta Giacinta?», capii ch’era tardi. Fu la mattina che al mio solito ammicco Oreste non rispose: non era piú lui. Gabriella gli aveva parlato. Erano usciti al primo sole, insieme, dopo il temporale della notte, e dalla finestra li vidi tornare ridendo sull’erba. Proprio quel mattino Poli non era uscito dalla stanza; trovai Pieretto e la Pinotta abbasso che parlottavano, e la Pinotta mi guardò malamente. Pieretto disse ch’eravamo alle solite. — Quel cretino ha fiutato — . Pinotta raccontò ch’era stata chiamata a pulire la vomitura dalle coperte. — È successo altre volte? — disse Pieretto. — Tutte le volte che bevono troppo, — disse lei.
La sera prima non avevamo bevuto che aranciate; anzi l’aria pesante e i primi lampi ci avevano dato un’inquietudine, un malumore, che in me si era fatto disagio, vero senso di colpa e, vertendo il discorso sulla nostra permanenza al Greppo, avevo detto
224 |