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— Tanto ci tieni, — disse Pieretto, — a somigliare al Padre Eterno?

— Che altro c’è? — disse Poli convinto. — Ti fanno paura le parole? Dagli il nome che vuoi. Io chiamo Dio l’assoluta libertà e certezza. Non mi chiedo se Dio esiste: mi basta esser libero, certo e felice, come Lui. E per arrivarci, per essere Dio, basta che un uomo tocchi il fondo, si conosca fino in fondo.

— Smettetela, — gridò Oreste sulla spalla di Gabriella.

Non gli badammo. Pieretto disse allegro: — E tu questo fondo lo tocchi? Ci scendi spesso?

Poli annuí, senza sorridere.

— Credevo, — riprese Pieretto, — che il miglior modo di conoscersi fosse pagare di persona. Tu hai pensato che cosa faresti se venisse il diluvio?

— Niente, — disse Poli.

— Non mi hai capito. Non quel che vorresti ma quel che faresti. Quel che le gambe ti farebbero fare. Scappare? Cadere in ginocchio? Ballare in santa letizia? Chi può dire di conoscersi se non è stato nella stretta? La coscienza è soltanto una fogna; la salute è all’aria aperta, tra la gente.

— Ci sono stato tra la gente, — disse Poli a fronte bassa, — è da ragazzo che ci sto. Prima il collegio, poi Milano, poi la vita con lei. Mi sono divertito, non dico di no. Suppongo che succeda a tutti. Mi conosco. E conosco la gente... Non è questa la strada.

— A me, — disse Gabriella passando, — dispiace morire perché non vedrò piú nessuno.

— Lei balli, — gridò Pieretto.

— Però ha ragione, — disse a Poli. — Tu invece vedi Dio nello specchio?

— Cioè? — disse Poli.

— A filo di logica. Se il mondo non t’interessa e porti Dio dentro gli occhi, fin che sei vivo tu lo vedi nello specchio.

— Perché no? — disse Poli. — La propria faccia non la conosce nessuno — . Parlò con un’aria tranquilla che mi fece restare.

La musica s’era fermata. Nel silenzio, per le vetrate s’udivano i grilli.

— Ci riprende l’angoscia, — disse Gabriella a braccetto d’Oreste. — Siamo stufi di voi.

Uscimmo tutti quanti sotto la luna, che spuntava allora enorme,


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