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XX.

La notte si vegliava in veranda, bevendo, ascoltando dischi, giocando.

— Chi piú inutile di me, — diceva Gabriella. — Non basto nemmeno a divertirvi quanti siete.

Ballava un giro con uno di noi, poi tornava a sedersi. Le prime sere tacevamo in ascolto, e seguivamo con gli occhi i passetti, la gonna celeste.

— Chi piú inutile di me, — disse una notte allungandosi. — Sono stanca di vivere.

— Dice sul serio, a quanto pare, — osservò Pieretto.

— Stanca di tutto, — disse lei. — Di svegliarmi al mattino, di vestirmi per scendere, dei discorsi intelligenti che fate. Vorrei andare all’osteria e ubriacarmi coi facchini.

— È masochismo, — disse Poli.

— Ma sí, — disse lei, — vorrei che un uomo mi strozzasse. Non merito altro.

— Oh oh siamo in crisi.

— Già, — Gabriella tagliò freddamente. — Siamo in crisi. È di moda, quassú. Lei Oreste stia attento o finirà per cascarci come noi.

— Soltanto lui? — disse Pieretto.

Gabriella storse la bocca. — Di fronte a lui siamo carogne, — disse. Comprese nell’occhiata anche me. — È il solo di noi che sia sincero e sano.

Oreste la guardò cosí brusco che ci fece ridere. Sorrise anche Gabriella. — Vero che lei non ha crisi di sincerità? — gli disse. Ha mai mentito nella vita, Oreste?

— C’è crisi e crisi... — cominciò Poli.


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