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— Ieri sera si è parlato di Poli, — spiegò Gabriella. — Bisogna proprio che si fermi con noi. Qui ogni cosa succede di notte.
Piú tardi Gabriella scomparve. Noi gironzammo le stanze intorno alla veranda — c’erano libri, vecchi libri rilegati, tavolini da gioco, un biliardo. Mi piaceva la luce verde dei pini alle finestre. In un cantuccio trovai romanzi, riviste illustrate e il cestino da lavoro di Gabriella. Dalla cucina giungevano tonfi attutiti. Non avevo ancora visto il giardiniere.
— Con tanta terra che possiedi, — disse Pieretto a Poli, — perché non ti metti a zapparla?
Al sorriso vago di Poli, Oreste disse: — Ci vuol altro che lui. Finirà che suo padre vende tutto. Non l’adopera nemmeno per la caccia.
— Perché dovrebbe zappare la terra? — chiesi a Pieretto, alzando gli occhi dalla rivista.
— Un uomo in crisi zappa sempre la terra, — disse Pieretto. È la madre comune, che non inganna i suoi figli. Tu dovresti saperlo.
— Però, — disse Poli, — a settembre potete farla una battuta...
Nessuno disse nulla. Io pensavo che settembre era vicino, una decina di giorni, e se sarebbe stato lecito fermarci tanto tempo. Pareva inteso che saremmo rimasti. Non dissi nulla e riaprii la rivista.
A colazione Gabriella scese in vestaglia e sapeva di sole. Ridendo nell’ombra delle persiane, rimise Oreste sul discorso della caccia.
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