Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/217


mene solo, dopo giorni e settimane che dormivamo in una stanza a tre, mi rifece fresco e riposato come quel cielo che salutai l’indomani mattina alla finestra. Tutto era sveglio e vivo e stillante, e il sole che riempiva la pianura oltre i pini mi capacitò che l’orizzonte era vasto e che tante cose avremmo fatto sul Greppo, goduto i boschi e la compagnia, chiacchierato, giocato, assorbito con tutto il corpo quel regno. C’erano anfratti, radure, tanti lunghi pomeriggi, c’era quella grotta di Gabriella. S’era già parlato di tornarci.

A mezza mattina arrivò Oreste scampanellando in bicicletta, come un postino. S’accompagnava con Pinotta ch’era andata a far la spesa ai Due Ponti. Il bello è che ci portò veramente la posta, cartoline arrivate per noi; e Gabriella gli gridò dalla finestra: — Se per averla qui con noi è necessario, dirò a tutti i miei amici di scrivermi.

Entrammo con lei e ci sedemmo in attesa di Poli. Oreste, di buon umore, ci raccontò che aveva visto certi voli sulla campagna, e sentito frulli e pigolii che promettevano un anticipo di caccia.

— Tanto le piace sparger sangue, Oreste? — esclamò Gabriella. — Sentite, — disse. — Non è meglio che ci chiamiamo per nome? Si viene in campagna per star liberi, vero?

Oreste ritornò sulla caccia e diceva che Poli non doveva dormire cosí tardi. L’ora estiva di caccia è addirittura avanti l’alba, e quanto prima ci si avvezza...

— Non coi cani, — gridò Gabriella, — i cani patiscono. La rugiada gli offende l’olfatto — . Rise alla faccia stupita d’Oreste. — Non lo sa... non sapete che da ragazza villeggiavo sul Brenta in mezzo ai cacciatori d’allodole? Non si sentiva che sparare e abbaiare di cani...

— Dov’è il vecchio cane di Rocco? — uscí Oreste.

— Dev’essere morto, — disse lei. — L’ha chiesto a Poli? A proposito, Poli non vuole piú uccidere. Gliel’ha detto?

Oreste la guardò, interrogativo.

— Non ci trova piú gusto, — spiegò Gabriella. — Non si confà alla nuova vita — . Sorrise. — Però le bistecche le mangia.

— Lo sospettavo, — mugolò Pieretto.

Oreste non capiva la nostra allegria, e ci guardava inquieto, di faccia in faccia.


213