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XVIII.

— Lasciatemi dire, — brontolò Gabriella. — In due si parla cosí poco e si sanno già le risposte. In due è come essere soli... Vorrei soltanto che qualcuno mi dicesse se quella notte... c’eravate anche voialtri... se Poli ha spiegato alla compagnia la sua vita innocente... L’ha scoperta a Torino, questo lo so. Ma le facce vorrei vedere, le facce di quanti eravate a sentirlo. Perché Poli è sincero, — disse Gabriella convinta, — Poli è ingenuo e sincero come un uomo deve essere, e non sempre capisce che le crisi di coscienza non convengono a tutti. È il suo bello, — e sorrise, — quest’essere ingenuo. Ma ditemi la faccia che hanno fatto gli altri.

E ci piantò quegli occhi addosso, dura e ridente, maliziosa.

A questa piega del discorso Poli non si scompose. Aveva l’aria di aspettare ben altro. Fu Pieretto che disse; — Furore bianco con la schiuma. Si è sentito stridore di denti. Qualcuno aveva sette diavoli in corpo.

Non mi piacque la faccia di Poli. ci guardava stirato, con gli occhi gonfi e socchiusi.

— Quos Deus vult perdere, — disse ancora Pieretto. — Succede — . Gabriella lo guardò affascinata un istante, e rise appena, un riso sciocco. Cambiò tono di colpo e propose; — Vogliamo uscire a prendere aria?

Ci alzammo in silenzio e scendemmo i gradini. C’investí la canzone dei grilli, e l’odore del cielo.

— Andiamo a veder la luna sui boschi, — disse Gabriella. — Poi ci facciamo portare il caffè.

Quella notte Pieretto venne a trovarmi nella stanza. A me l’idea di dormire in quella casa e di svegliarmici domani, e poi


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