Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/212


mezza costa. Gabriella ci aveva condotti a una piccola grotta sotto il tufo, cigliata di capelvenere, dove stagnava un po’ d’acqua. A un alberello in una conca avevamo trovato delle pesche, mature come miele. Oreste era cupamente gaio. Lanciava quei suoi urli selvaggi, per spaventare Gabriella. Verso sera m’ero accorto che dal Greppo non si sentivano voci di cascina — chioccolii, canti di galli, latrati. Di lassú si dominava la pianura come da una nuvola.

Andammo a cena ch’era buio, alla tavola smagliante, preparata in sala dalla Pinotta. Pinotta temeva le occhiate di Gabriella, e accorreva. — La tavola è sacra, — aveva detto Gabriella, — fin che si può bisogna fare di ogni boccone una festa — . Esigeva anche fiori qua e là, gettati con garbo sulla tovaglia. Scese in sandali ma rivestita, e ci disse amabilmente: — Sedetevi — . Cercai di non guardare i polsini di Pieretto.

Parlammo di Oreste, del suo umore ombroso, di quando lui e Poli battevano i boschi. Parlammo del vivere cittadino e di quello campagnolo. Parlammo di Poli ragazzo e del bisogno di solitudine che presto o tardi prende tutti. Gabriella chiacchierò di viaggi, delle noie mondane, di strani incontri in alberghi di montagna. Era nata a Venezia. Noi confessammo di esser solo due studenti.

La Pinotta ci serví, tutto il tempo, con quel passo che sembrava scalza. Capii che in qualche posto, in cucina, doveva essercene un’altra, una cuoca, la vera padrona della casa. Guardavo i fiori, la tovaglia candida, inghiottivo senza rumore, tenevo d’occhio Gabriella. Non ero ancora ben convinto d’esser là, che una simile casa sorgesse come un’isola su quella terra di contadini. Pensavo ancora ai festoni di carta colorata del camino d’Oreste, alle melighe gialle sull’aia, alle vigne, ai visi sugli usci. Gabriella mangiava compunta. Poli era chino sopra il piatto, e ascoltavamo Pieretto che parlava parlava del suo gusto di girare di notte.

Tenevo d’occhio Gabriella e mi chiedevo se Oreste non fosse stato piú in gamba di noi. Con bella maniera Oreste se n’era tornato a casa, a dormirsene, a starsene solo, a ripensarci da lontano. Lui conosceva meglio Poli, sapeva altre cose, ma era chiaro che sul Greppo non ci stava volentieri. Non era scappato soltanto per correre da Giacinta. Giorni innanzi per strada, discutendo se Gabriella era degna di venire con noi al pantano, avevamo parlato. Ma che fanno in campagna, questi due? c’eravamo chiesto. Se sono venuti per starsene soli e far pace, allora perché vogliono noi? E


208