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il mondo. Poi la vita ci separò. Ma questa volta siamo stati d’accordo di passare l’estate insieme come i ragazzi che un tempo eravamo. Abbiamo dei comuni ricordi...

Pieretto lo stava a sentire con evidente cortesia. Chi non si tenne fu Oreste che sbottò: — Ma che cosa facevi a Torino, se eri sposato?

Poli lo guardò con disgusto, quasi con paura. Disse soltanto: — Non si fa sempre quel che gli altri vorrebbero.

Ci raggiunse Gabriella e aprí l’armadio dei liquori. Era un armadio imbottito di vetro che aprendolo s’illuminava. Parlammo del Greppo. Io dissi che era molto bello lassú e che capivo passarci la vita girando nella selva.

— Sí, può piacere, — disse lei.

— Che cosa fate, — disse Pieretto, — dal mattino alla sera?

Gabriella si stirò sulla poltrona, cosí com’era, a gambe nude. — Si prende il sole, si dorme, si fa ginnastica... Non si vede nessuno — . Non potevo abituarmi a quella faccia imprevedibile, nera di sole e maliziosa. Era giovanissima, doveva esser giovane piú di Poli, ma aveva a tratti nella voce inflessioni rauche che mi colpirono. Sarà il bere, pensavo, o sarà il resto?

— Noi facciamo una colazione fredda, — ci disse ridendo. — Marmellata, biscotti. Il pranzo serio sarà stasera.

Protestammo che ci aspettavano a casa. Che il cavallo aspettava. Dovevamo rientrare prima di notte.

Poli restò soprapensiero, contrariato. Disse a Pieretto che s’era fatta una festa di averci con lui, e che aveva tante cosa da dirci. Disse alla moglie di dar ordine di prepararci le stanze di sopra.

Discutemmo e tenemmo duro, scherzando. A me quell’insistenza seccava e pensavo, sogguardando Oreste, alla strada del ritorno, alla finestra che l’aspettava alla Stazione, al crepuscolo. Poli disse: — Che importa la casa dove vivete? Perché mi trattate cosí?

Gabriella alzò con garbo il bicchiere, lo guardò costernata e disse: — Tanto v’interessano i polli e i balli pubblici?

Rise anche Poli. Restammo intesi che saremmo tornati l’indomani per fermarci piú a lungo.


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