Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/20

cordo di un paese lontano, di una vita agitata, che ci si chiede ripensandoci come abbiamo potuto gustarla e tradirla cosí.

L’Elvira prese una candela e si fermò in fondo alla stanza. Era fuori dal cono di luce della lampada centrale e mi disse di spegnere quando sarei salito. Capii che esitava. Vicino all’interruttore della stanza c’era quello del lampione esterno e qualche volta mi sbagliavo e inondavo di luce il cortile. Dissi brusco: — Tranquilla. Spegnerò quello giusto —. Lei tossí con la mano sulla gola e fece per ridere. — Buona notte.

Ecco, mi dissi appena solo, non sei piú quel ragazzo, non corri piú i rischi di un tempo. Questa donna vorrebbe dirti di rincasare piú presto, vorrebbe parlare con te, ma non osa, e magari si torce le mani, magari si stringe al cuscino e si palpa la gola. Non promette piaceri, e lo sa bene. Ma s’illude a vederti vivere solo e spera che la tua vita sia tutta qui dentro, nella lampada, nella camera, nelle belle tendine, nelle lenzuola che ti ha lavato. Tu lo sai, ma non corri piú questi rischi. Cerchi non lei, ma tutt’al piú le tue colline.

Mi venne da chiedermi se la Cate di un tempo si era illusa cosí. Ott’anni fa, cos’era Cate? Una figliola beffarda e disoccupata, magra e un poco goffa, violenta. Se usciva con me, se veniva al cinema o nei prati con me, se mi stringeva sottobraccio nascondendo le unghie rotte, non era detto per questo che sperasse qualcosa. Era l’anno che io affittavo una stanza in via Nizza, che davo le prime lezioni e mangiavo sovente in latteria. Da casa mi mandavano quattrini, tanto poco per allora bastavo a me stesso. Non avevo nessun avvenire se non quello generico di un giovane campagnolo che ha studiato e che vive in città, si guarda intorno, e ogni mattina è un’avventura e una promessa. Vedevo molta gente in quei giorni, mi davo d’attorno e vivevo con molti. C’eran gli amici degli anni di scuola, c’era Gallo che poi morí di una bomba in Sardegna, c’eran le donne, le sorelle di tanti, e Martino il giocatore che sposò la cassiera, e i chiacchieroni, gli ambiziosi che scrivevano libri, commedie, poesie, se le portavano in tasca e ne parlavano al caffè. Con Gallo andavamo a ballare, andavamo in collina — era anche lui dei miei paesi — , parlavamo di aprire una scuola rurale, lui avrebbe insegnato l’agraria e io le scienze, avremmo preso delle terre, messo su dei vivai, rinnovata la campagna.

Non so come Cate capitasse tra noi; stava in barriera, sul-


16