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gracili, miracolosi. Il sangue spesso della terra era capace anche di questo. Tutti dicevano che presto i boschi si sarebbero riempiti di funghi.

Non andammo per funghi. Andammo invece l’indomani dai cugini di Oreste. Dalla Stazione, per una strada traversa, il cavallino ci portò sotto una costa quasi piana, di meliga e meliga, qualche boschetto, e ancora meliga. Il sole mattutino aveva già fatto miracoli. Non fosse stato per la durezza scabra della strada e l’odore del vento, nessuno avrebbe detto del giorno avanti. Correvamo tra i campi, per l’insensibile salita, ora sotto l’ombra leggera delle gaggie, ora incassati tra le canne.

La cascina era in fondo all’altopiano, tra basse colline, sperduta tra i canneti e le querce. Ci arrivammo che ogni tanto mi voltavo, perché poco prima, usciti da una strettoia di pietroni, Oreste aveva detto, indicando il cielo: — Ecco il Greppo — . A fiore delle viti che salivano al cielo, vidi un enorme versante boscoso, scuro d’umidità. Sembrava disabitato, non un campo né un tetto.

— Sarebbe quella la tenuta? — borbottai.

— La villa è in cima, nascosta dagli alberi. Di là si vedono i paesi di pianura.

Bastò un avvallamento per nascondere il Greppo e arrivammo alla cascina, che ancora lo cercavo tra gli alberi.

Dapprima non capii l’entusiasmo di Oreste per i due cugini. Erano uomini fatti, uno perfino brizzolato, vestiti con camicia a quadretti e fustagno, dalle mani grosse e villose, che uscirono in cortile e senza stupirsi ci fermarono il cavallo.

— È Oreste, — dissero.

— Davide! Cinto! — gridò Oreste, buttandosi a terra.

Tre cani da caccia ci corsero addosso, un po’ ringhiando un po’ saltando intorno a Oreste. Era un grande cortile di terra bruna, quasi rossa, come le vigne che avevamo attraversato. La casa era di pietra, sfumata di verderame per via di certe viti a spalliera. Una finestra a pianterreno era nera, vuota.

Prima cosa, il cavallo venne condotto all’ombra sotto le querce, e li lasciato a scalpitare e calmarsi.

— Siamo medici? — chiese Davide alzando l’occhio.

Oreste gli spiegò con calore chi eravamo.

— Andiamo al fresco, — disse Cinto incamminandosi.

La giornata finí che bevevamo ancora, e agosto ha i giorni lun-


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