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XI.
Ne avevamo parlato subito, alla voce dei grilli.
— Il Greppo è laggiú, — diceva Oreste, — dove c’è quel mucchietto di stelle. Affiora appena sull’orlo dell’altopiano. Al primo sole s’intravede la punta dei pini...
— Andiamoci. Avanti, — disse Pieretto.
Ma Oreste disse che di notte non valeva la pena e che Poli era certo ancora in Riviera.
— Se stavolta non ci resta, — disse Pieretto.
— Stava bene. A quest’ora è guarito...
— Gli avrà sparato qualche altra.
— Deve toccare sempre a lui?
— Come, — gridò Pieretto nel vento, — non sai che quello che ti tocca una volta si ripete? che come si è reagito una volta, si reagisce sempre? Non è mica per caso che ti metti nei guai. Poi ci ricaschi. Si chiama il destino.
Di Poli si riparlò a tavola il giorno dopo, quando risalimmo dal pantano. Oreste disse alla cerchia delle facce: — Sapete chi ho visto quest’anno?
Quand’ebbe raccontata la storia del ferimento, e Rosalba, la macchina verde, le corse notturne, in un baccano concitato di avide domande e esclamazioni, la madre disse, nella pausa incredula:
— Un bambino cosí bello. Me lo ricordo quando passavano in carrozza coi parasoli aperti. Lo portava la balia vestita di pizzo, con gli spilloni... Era l’anno che aspettavo Oreste.
— Sei sicuro che è Poli del Greppo? — disse il padre, brusco.
Oreste ricominciò da quella notte in collina.
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