Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/179



Oreste rideva, nella screziatura delle persiane accostate. S’era sfilata dalle spalle la camicia e mostrò i muscoli neri e rotondi. — Si sta bene, — disse, e si tuffò sul letto.

— Oreste ha preso gusto a ballare e toccare, — disse allora Pieretto. — Sul ballo sembrava dentro il mare grosso. Ancora sente odor di mare quando vede una ragazza.

— Queste campagne sanno odore davvero, — dissi facendomi alla persiana. — Guarda laggiú. Sembra un mare.

Pieretto disse: — Il primo giorno ti è concesso. Guarda pure il panorama. Poi domani la smetti.

Li lasciai ridere e parlare un po’, a modo loro. — Siete allegri, — dissi. — Che succede?

— Hai mangiato e bevuto. Cosa chiedi di piú? — disse Pieretto.

E Oreste: — Vuoi fumare la pipa?

Quel tono di congiura nella stanza buia mi metteva a disagio. Dissi a Pieretto: — Hai già spaventato le donne di casa. Sei sempre lo stesso. Finirà che ti cacciano via.

Oreste saltò a sedere dal letto. — Niente scherzi, dico. Starete qui per la vendemmia.

— Che facciamo in tutt’agosto? — brontolai. Mi tirai la maglietta sul capo, per toglierla. Quando ne uscii, sentii Pieretto che diceva: — ... Ma è nero come un gambero anche lui...

— C’è il sole in Po come in Riviera, — brontolavo, e di nuovo quelli a ridere.

— Cosa c’è? Siete sbronzi?

— Facci vedere l’ombelico, — disse Oreste. Scostai per gioco la cinghia dei calzoni, mostrando una striscia di ventre pallido. Quelli sghignazzarono e urlarono: — L’infame! Anche lui! Si capisce!

— Sei ancora segnato, — ghignò Pieretto in quel suo modo sputacchiante. — Verrai nel pantano anche tu. Qui non si hanno riguardi. Al sole non si deve nascondere niente.


175