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— disse con sprezzo, — ma che ci vadano figliole è una vergogna. Dovrebbero lasciarli andare soli.
— Vuol mica che si balli tra uomini, — disse Pieretto, — sarebbe indecente.
— È piú indecente una ragazza che si spoglia all’aperto, — gridò la vecchia. Cosí continuammo a mangiare con foga, e il discorso girava, esitava, correva. Di tanto in tanto eran faccende loro, pettegolezzi del paese, questioni di lavoro, di terre, ma non appena metteva bocca Pieretto, il terreno scottava. Non fosse stato ch’eravamo insieme e il suo contegno diventava il mio, avrei potuto divertirmi. Invece Oreste mi guardava contento, gli ridevano gli occhi, era felice di vedermi in casa sua. Gli feci un segno di minaccia con la mano, poi con due dita il gesto di chi cammina. Lui non capí e diede in giro una comica occhiata. Credeva mi seccassi a stare a tavola.
— Bello scherzo, — gli dissi. — Non dovevamo farla a piedi?
Oreste si strinse nelle spalle. — Vedrai che camminiamo per coste e per vigne, — mi disse, — siamo qui per andare a spasso.
Il padre non aveva capito. Gli spiegammo il progetto di venire a piedi da Torino. Una sorellina d’Oreste fece un verso di stupore e congiunse le mani davanti alla bocca.
Il padre disse: — Ma c’è il treno. Che senso.
Saltò fuori Pieretto. — Diventa bello andare a piedi, quando tutti vanno in treno. È una moda come i bagni di mare. Adesso che tutti hanno un bagno in casa, diventa bello farlo fuori.
— Parla per te che ci sei stato, — dissi.
— Com’è la gente, — disse il padre, — ai miei tempi la moda non comandava che le spose.
Ci alzammo da tavola storditi e assonnati. Le donne non mi avevano lasciato un momento il piatto vuoto, e il padre al mio fianco non smetteva di empirmi il bicchiere. — Vada a dormire, ché fa caldo, — mi dissero.
Salimmo nella stanza torrida noi tre. Per rianimarmi mi lavai la faccia in quel bianco catino e dissi a Oreste: — Quanto dura la festa?
— Che festa?
— Siamo all’ingrasso, a quel che pare. Qui si mangia una vigna per pasto.
Pieretto disse: — Se venivi a piedi.
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