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ai giorni passati, andavo in barca, immaginavo novità. L’ora piú irrequieta era la notte — si capisce, Pieretto mi aveva viziato — , la piú bella il mezzodí verso le due, quando le strade, vuote, non contenevano che una fetta di cielo. Una cosa che facevo sovente era accorgermi di qualche donna alla finestra, annoiata, assorta come soltanto le donne sanno stare, e levavo la testa passando, intravedevo un interno, una stanza, una fetta di specchio, portavo con me quel piacere. Non invidiavo i miei due soci che in quelle ore vivevano sulla spiaggia, nei caffè, tra le bagnanti abbronzate e seminude. Certo si divertivano molto ma sarebbero tornati, e io intanto passavo il mattino, mi abbronzavo, sudavo, godevo la mia parte. Anche sul Po ci venivano ragazze, strillavano dalle barche, sulle rive del Sangone; perfino i sabbiatori levavano il capo e dicevano la loro; io sapevo che un giorno ne avrei conosciuta qualcuna, e qualcosa sarebbe successo, ne immaginavo già gli occhi, le gambe e le spalle, una donna stupenda, e remavo e fumavo la pipa. Era difficile sull’acqua, in piedi, puntando il remo verticale, non atteggiarsi a uomo atletico, primitivo, non scrutare l’orizzonte o la collina. Mi chiedevo se la gente come Poli avrebbe gustato quei piaceri e capito la mia vita.

Una ragazza la portai sul Po, verso la fine di luglio, ma non fu niente di stupendo o di nuovo. La conoscevo, era commessa di libreria, ossuta e miope, ma aveva le mani curate, un fare languido, e mentre guardavo i libri fu lei a chiedermi dove prendevo tanto sole. Promise, felice, che sarebbe venuta quel sabato.

Venne con un costumino bianco sotto la gonna, e la gonna se la tolse voltandomi le spalle e ridendo. Si distese sui cuscini in fondo alla barca lagnandosi del sole e mi guardava remare. Si chiamava Teresina — Resína. Scambiavamo parole sul caldo, sui pescatori, sugli stabilimenti balneari di Moncalieri. Piú che del fiume lei parlava di piscine. Mi chiese se andavo a ballare. Coi suoi occhi socchiusi sembrava distratta.

Fermai la barca sotto gli alberi, e mi misi a nuotare. Lei non si bagnò perché s’era unta d’olio contro il sole e sapeva un odore di toeletta. Quando uscii stillante dall’acqua mi disse ch’ero stato bravo e passeggiò sulla riva. Le gambe lunghe, arrossate, non erano brutte. Non so perché, mi fece pena. Le portai dei cuscini sui sassi e lei mi disse di prenderle la boccetta dell’olio e ungerla dietro, dove non arrivava. Allora, inginocchiato, le sfregai la schiena con


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