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Mi scostai, sempre guardandola. — Ci siamo, — disse lei, — è la mia pelle, non ci badi... Adesso mi dica una cosa.

Volle sapere raucamente che cosa avevamo fatto in quei giorni insieme con Poli. Quando cominciai con l’incontro, sbatté gli occhi. — Poli era solo? — voleva sapere. — Ma allora perché proprio a mezzanotte in collina?

— Era solo ma erano le tre.

— E com’è stato fermarvi con lui?

Piú di me, le dissi, conoscevano Poli Oreste e Pieretto. Io ero andato a dormire, ma Pieretto era stato con lui tutto il mattino. Poli sembrava un po’ bevuto. Come sempre, del resto. Chiedesse a Pieretto, che avevano molto parlato.

All’istante capii che Rosalba non aveva perso tempo, e già, ballando, interrogato Pieretto. Mi fissò con quegli occhi. Seccato mi distolsi e riprendemmo a camminare sui ciottoli.

Mentre nell’ufficio aspettavo la via libera, dissi a Rosalba che fumava sulla porta:

— Oreste conosce Poli fin da ragazzo... L’altra notte era con noi. Lei non rispose e guardava la strada. Venni anch’io sulla porta, e scrutai il cielo.

Quand’ebbi parlato e gridato con mia madre nella piccola cabina, tornai sulla porta e Rosalba non s’era mossa. Dissi allegro: — Si va?

— Il suo amico, — lei riprese, scuotendosi, — è un ragazzo molto furbo. Non le ha detto se Poli gli ha detto qualcosa?

— Sono andati sui laghi.

— Lo so.

— Era ubriaco e si è sentito male.

— No, prima, — disse Rosalba impaziente e le tremava la voce.

— Non so. Noi l’abbiamo trovato in collina che guardava le stelle.

Allora Rosalba con un guizzo si appese al mio braccio. Due contadine che passavano, si voltarono a guardarci. — Lei mi capisce, non è vero? — disse Rosalba ansimando. — Lei ha visto come Poli mi tratta. Ieri ho creduto di morire, da tre giorni sono sola in albergo. Non posso neanche uscire a passeggio perché mi conoscono. Sono qui nelle sue mani; a Milano mi credono al mare. Ma Poli mi trascura, Poli è stanco di me, non vuol nemmeno piú saperne di ballare con me...


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