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era allegro; Rosalba strizzava gli occhi. In quell’abito rosa scollato era ben vecchia, mio dio. Mi facevano rabbia e insieme pena tutti quanti; Poli si voltò gioviale e ci diede il buon giorno.

— La colpa è mia. Dove siamo? — dissi allora.

— Telefona, — disse Pieretto. — Di’ che ti sei sentito male.

Gli altri due si eran messi a scherzare, a mordersi le orecchie.

Rosalba si tolse il fiore dai capelli e, salvandolo da Poli, me lo diede. — Là, — disse rauca, — non ci guasti la festa.

Per tutto il resto che durò la corsa fiutai quel fiore e ci patii. Era il primo che una donna mi dava, e doveva venirmi da un tipo come Rosalba. Ce l’avevo con Poli, dopo le storie della notte.

Spuntò il campanile di un altro paese. Giungemmo in piazza, per una viuzza porticata, sotto balconi panciuti, e nell’ombra del mattino una ragazza spruzzava sui ciottoli acqua da una bottiglia.

Nel caffè l’impiantito di legno era anch’esso già annaffiato e sapeva un odore di cantina e di pioggia. Ci sedemmo a una finestra contro sole, e chiesi subito del telefono. Non c’era.

— La colpa è tua, — disse Poli a Rosalba. — Se non mi facevi ballare...

— Se tu non bevevi, — scattò lei. — Non capivi piú niente. Sudavi cognac dalla pelle.

— Lascia andare, — disse Poli.

— Chiedi ai tuoi soci i discorsi che hai fatto, — gridò disgustata, — chiedilo a loro. Hanno sentito.

Disse Pieretto: — Discorsi importanti. L’innocenza e la libera scelta.

La donna che ci serviva e sbirciava Rosalba, ci disse che all’ufficio postale esisteva un telefono. Allora feci per alzarmi e chiesi a Pieretto il portafoglio. Si alzò anche Rosalba e mi disse: — Vengo con lei. Cosí mi sveglio. Qui c’è odore di manicomio.

Uscimmo cosí in piazza noi due, lei in rosa, alta e magra, uno spettacolo. Dalle finestre si sporgevano teste, ma la strada era ancora vuota.

— A quest’ora sono tutti nei campi, — dissi, per dir qualcosa.

Rosalba mi chiese una sigaretta. — Comuni macedonia, — dissi. Si fermò, si fece accendere, e mentr’era accostata disse ridendo sottovoce con sforzo: — Lei è piú giovane di Poli.

Buttai vivamente il cerino che mi scottò. Rosalba continuò avvampando: — Piú sincero di Poli.


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